
Gabriella Pravato è ideatrice del blog Dulcis “la grammatica dei sapori”. Olissea l’ha invitata a POP-OLIO per indagare come l’olio di qualità abbia risvegliato e donato nuova vita ai piatti della tradizione, che in Italia sono numerosissimi, unici, speciali sia elaborati che semplici, apperentemente “poveri”. Oggi sappiamo che in origine l’olio usato nelle preparazioni non era comparabile agli oli di altissima qualità prodotti oggi. Quattro chef, annoverati fra i migliori, hanno “risvegliato”per l’occasione quattro piatti tipici: Andrea Quaranta lo stoccafisso brandacujun, Andrea Fusco la coda alla vaccinara, Antonio Falco gli schiaffoni con stoccafisso alla partenopea e Alessandro Caputo il carpaccio di tonno. Scopriamo che olio hanno usato!
Gabriella Pravato per Olissea
Quando si parla dell’Italia si suol dire 1000 paesi, 1000 campanili e 1000 ricette. E sono proprio queste 1000 ricette che ci portano a dire che non esiste una cucina italiana, ma una cucina dei paesi e delle regioni italiane. Regioni diversissime per clima, l’Italia è lunga ha inizio con le nevi del nord e termina con le terre bruciate dal sole del sud. Regioni diversissime anche per prodotti, prodotti spesso poverissimi, con i quali le donne italiane hanno creato piatti di grande sapore, nei quali l’olio è sempre stato il grande protagonista. L’olio extravergine di oliva, l’ingrediente che unisce pur essendo diverso per cultivar, quindi per colore, profumo e sapore.538 le cultivar censite, un patrimonio varietale unico al mondo, che ha regalato all’Italia il titolo di paese dell’olio di oliva.
Nella mente e nel cuore di ognuno di noi il cibo conserva il profumo e il sapore della Terra dove siamo nati, l’olio è l’alimento magico che può cambiare il piatto. Così ho invitato quattro Chef creativi a scegliere un piatto della loro terra e a liberare la loro fantasia abbinandolo con un olio che nasce lontano dalla loro regione di origine.

Con lo chef Andrea Quaranta andiamo ad Imperia in Liguria. Una piccola regione, l’arco fiorito d’Italia, dove praticare l’agricoltura è un’impresa eroica. Gli oliveti sembrano arrampicati sulla montagna dove l’uomo ha creato dei terrazzamenti modellando la roccia. Un lavoro duro che dona però, anche grazie al clima, un olio di grande pregio, conosciuto in tutto il mondo.
Impegno, fatica, stanchezza, ma anche una grande emozione è ciò che ricorda lo chef di quando giovanissimo aiutava il padre a raccogliere le olive di cultivar taggiasca, nei terreni della famiglia.
La pulizia del terreno, il posizionamento delle reti, la raccolta, la defogliazione nel garage di casa e poi il trasporto delle olive nei piccoli frantoi di zona.
Ricorda l’olio verde scuro, il profumo pungente che invadeva l’aria, nonostante i contenitori fossero chiusi. Oggi vive a Roma, l’olio arriva da casa, dalla Liguria, ogni volta è un’emozione che lo riporta indietro nel tempo, a quelle sue giornate da olivicoltore.
Lo Chef ha scelto per Pop-Olio un piatto della tradizione ligure che ama molto, lo stoccafisso brandacujun, il cibo dei marinai del Ponente ligure. La ricetta originale prevede l’impiego dell’olio della cultivar taggiasca, Andrea Quaranta ha deciso di sostituirla con la cultivar del Lazio, Carboncella. Al profumo leggero con sentori di mandorla della taggiasca ha preferito l’erbaceo delicato con richiami di pinolo e mandorla della Carboncella, perché più congeniale al pesce lavorato con patate, limone e un trito di aglio e prezzemolo. Al palato le note amare e piccanti armoniche e suadenti della Carboncella lasciano più ritorno di gusto allo stoccafisso dopo il primo boccone. Un piatto che dopo una composizione di contrasti arriva all’armonia.

Con lo chef Andrea Fusco andiamo nel Lazio, la regione che custodisce a Canneto Sabino l’olivo più antico di Europa, che si narra sia stato messo a dimora, dai monaci benedettini di Farfa, intorno all’anno Mille.
Precisamente andiamo a Roma, città che ha con l’olio un legame profondo fin dai tempi della sua origine. Alcuni documenti attestano che nella Roma Imperiale si consumavano ogni anno 321.000 anfore di olio, pari a 22 milioni di litri. A Roma è nato il Crustulum, il padre della nostra bruschetta, il cibo dove l’olio si dona nel modo più semplice. A quei tempi il Crustulum era una focaccia abbondantemente innaffiata di olio, che veniva offerta al popolo durante le festività civili e religiose.
Lo Chef ha scelto per Pop-Olio un piatto antico della cucina romana, la coda di bue alla vaccinara. Piatto nato nel 1890 nella trattoria della Sora Firmina, al quartiere Testaccio, per utilizzare il quinto quarto, la paga dei vaccinari e degli scortichini, che lavoravano al Mattatoio.
Per Andrea Fusco la cucina è essenzialmente una forma di linguaggio e la tradizione non può, per lui, che divenire innovazione. E allora la coda di bue è stata chiusa in un raviolo, è stata poi adagiata su un fondente di pomodoro e ricoperta da una julienne di sedano e fave di cacao.
L’olio della cultivar Itrana, con la sua fragranza erbacea e il suo sentore di pomodoro, solitamente utilizzata nella preparazione del piatto, è stata sostituita con la cultivar siciliana di Tonda Iblea.
Lo Chef ha deciso di utilizzare l’olio a crudo per rifinire il piatto, lo ha scelto per il suo profumo intenso di erbe aromatiche e per il suo gusto avvolgente con amaro e piccante netti e persistenti. L’olio di Tonda Iblea ha esaltato il sapore del piatto, creando una vera e propria esplosione di sapore.

Con lo chef Antonio Falco del Grand Hotel de la Minerve andiamo in Campania, a Caivano, in provincia di Napoli.
Lo Chef ricorda che la sua mamma preferiva l’olio della cultivar Ravece e amava utilizzarlo anche in frittura.
Mamma Carmela applicava l’antica regola campana “friggendo mangiando”. I suoi fritti, per la gioia di tutti in famiglia, arrivavano in tavola direttamente dalla padella, bollenti, croccanti e sempre perfetti.
L’olio veniva acquistato rigorosamente nel mese di novembre in Irpinia, arrivava in casa Falco in due damigiane e poi veniva travasato in bottiglie e conservato in cantina.
Lo Chef ricorda ancora il suo colore verde splendente e che, nelle giornate più fredde, gelava e cambiava consistenza.
Sua madre, per la merenda, lo faceva scendere lentamente sul pane caldo, al naso arrivava un leggero profumo di pomodoro che gli ricordava l’estate, in bocca il lieve sapore di mandorla e la punta di piccante.
Con il Ravece sua madre cucinava la sua specialità, una ricetta della tradizione campana, gli Schiaffoni con stoccafisso alla partenopea. Oggi lo Chef propone di ravvivare questa ricetta con un olio del Lazio, la regione dove egli attualmente vive e lavora, un olio della cultivar Caninese, con i toni di amaro e piccante molto pronunciati e un sentore intenso di carciofo. Il contrasto tra la dolcezza del pomodoro e il carattere dell’olio di Canino amplifica il gusto del baccalà senza distruggerlo. Avremo un piatto che emoziona anche grazie al suo profumo di terra e di mare senza essere invadente.

Con lo chef Alessandro Caputo del ristorante The Flair andiamo in Sicilia, terra di miti e leggende che vedono protagonista l’olio.

Una leggenda narra che furono i siculi a ricevere per primi, da Aristeo, figlio di Apollo, il segreto della tecnica della coltivazione dell’olivo.
A Palermo poi, città natale dello Chef, si venera Santa Oliva martire, morta bruciata nell’olio bollente.
Per Alessandro Caputo l’olio è tante cose. E’ sapore e profumo quando ricorda il tonno della zia affogato nell’olio della cultivar Biancolilla. Ma è anche gioia, affetto e casa. La casa di campagna e l’olio del papà, sempre poco e quindi preziosissimo, estratto dalle olive di dieci antiche piante.
Per Pop-Olio Alessandro Caputo propone un carpaccio di tonno condito con olio della cultivar Moresca, Sale di Maldon e foglie di cappero. Un omaggio e una nuova interpretazione di un piatto antico, caro ai pescatori siciliani. Il tonno spogliato dell’inutile esprime tutte le sue qualità e l’olio ben dosato nelle note di amaro e piccante con toni di mandorla in chiusura, diviene il protagonista assoluto.
Per ravvivare il piatto lo Chef ha deciso di attraversare lo Stretto per andare in Puglia, dove, un tempo d’inverno, gli uomini del mare, non potendo pescare, andavano a lavorare nei frantoi agli ordini di colui che veniva chiamato “lu bachino” il nocchiero.
Puglia e quindi Coratina, e allora nella sua semplicità il piatto cambia, assume una complessità gustativa più pronunciata e si caratterizza proprio grazie all’olio, al suo profumo di cicoria e mandorla, all’amaro potente e al piccante deciso e persistente.
Un piatto che affonda le radici nel meraviglioso e intenso sud della nostra Italia.
Proviamo a creare anche noi il nostro alfabeto in cucina, a essere creativi al pari degli Chef, a liberare la nostra fantasia scegliendo sempre oli diversi.
Un antico proverbio popolare recita che in Italia ci sono 365 oli, uno per ogni giorno dell’anno, e allora non smettiamo mai di cercare e di sperimentare.
Mario Soldati amava dire che dobbiamo andare al vino, non è il vino che deve venire a noi, questo credo che valga anche per l’olio, che come il vino è territorio, tradizione, ma anche memoria e cultura.
Quando andiamo nei luoghi cerchiamo l’olio, ma anche le persone che danno a questo alimento sostanza e fisionomia, con il racconto del loro lavoro ci permetteranno di conoscerlo meglio.
Facciamo sì che le nostre cultivar non siano una gabbia, cambiando l’olio vedremo che ogni ricetta non sarà mai unica, ma ci saranno infinite sfumature che, senza stravolgerla, la renderanno diversa.
E allora buon extravergine a tutti, l’extravergine che più ci piace.
#popolio
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