
Siamo un popolo di emigranti e mai come ora tutti ce lo ricordano. Quando ero bambina si “saliva” da sud a nord, raramente ci si fermava al centro. Alle elementari la mia compagna di banco era Carmen, giunta nella Capitale perché il padre, ferroviere, era stato trasferito a Roma dalla Sicilia. In realtà si chiamava Carmela per deferenza verso la nonna paterna. Nome che la poveretta detestava e con il quale proprio non ce la potevi chiamare, se non volevi che ti giurasse odio eterno. Con Carmen eravamo inseparabili e allora come non fare una vacanza insieme nella sua Sicilia, per conoscere nonna Carmè. Così avevo rinunciato a parte della mia vicinissima vacanza sul litorale romano, per andare nella, per me lontanissima, Sicilia. Ricordo ancora il lungo viaggio, anzi lunghissimo, ma anche il traghetto, il vulcano e poi i cannoli, un amore nato al primo assaggio e continuato, negli anni, indissolubile. E poi i mercati, proprio i mercati, perché nonna Carmè era una assidua frequentatrice di quei luoghi variopinti e rumorosi, che tanto mi affascinavano abituata com’ero alle quattro bancarelle vicino casa. La mattina di buonora andavamo a Ballarò, nome che a me sembrava una parola magica. Da grande avrei scoperto che il nome del mercato risale alla dominazione araba della Sicilia del X Secolo e deriva dal termine Balhara, villaggio da dove provenivano i venditori di spezie. Ricordo il caldo bruciante, le luci delle lampade che illuminavano il pesce per farlo apparire più fresco e argenteo, il pescespada armato di spada, e le umili e piccole sarde, che nonna Carmè chiamava “liccarisi a sarda”. Ne comperava ogni volta in quantità e poi, a casa, fatte anche le arancine, friggeva, friggeva… Il profumo inondava la casa, le scale, il vicolo.

Carmela friggeva con il “suo” olio, tanto diverso dal Caninese della mia mamma, un olio leggero, che quando scendeva sul pane aveva lo stesso sapore del pomodoro. Oggi so che era un monocultivar di Nocellara del Belice. Le arancine, che io da romana chiamavo supplì, arrivano in tavola bollenti e filanti. Fritte alla perfezione si aprivano come scrigni golosi e mi facevano dimenticare gli anonimi spaghetti al pomodoro di mia madre. Nonna Carmè ci raccontava che la ricetta era rigorosamente la sua, ma che le prime arancine erano state “inventate”, in un tempo lontano, nientepopodimeno che dall’Emiro Ibn at Timnah, come cibo da mangiare durante le battute di caccia. Io bambina, mentre nonna Carmè raccontava, sognavo oasi, odalische, palme e tante, tante arancine. Oggi non le sogno più, le preparo io stessa, con la ricetta che Carmen mi ha “passato”, come si fa con i compiti in classe. Non so se sono buone come le sue, forse no, manca la Sicilia, manca il mare, manca il sole cocente, ma in compenso c’è l’olio, il monocultivar di Nocellara del Belice SetteTempli di Carmela Turnaturi.

Ingredienti
Per il brodo
Cipolla bionda g 150
Sedano coste 1
Prezzemolo 1 ciuffo
Carote 2
Per il riso
Cipolla bionda g 15
Olio extravergine di oliva monocultivar Nocellara del Belice Sette Templi 3 cucchiai
Riso Nano Vialone Veronese g 350
Vino Bianco secco ½ bicchiere
Parmigiano reggiano 18 mesi g 60
Noce moscata 1 pizzico
Zafferano g 0,6
Olio extravergine di oliva Nocellara del Belice Sette Templi ml 750
Sale

Per il ripieno
Prosciutto cotto g 120
Mozzarella g 120
Parmigiano Reggiano g 30
Burro g 10
Uovo 1
Sale
Pepe
Per la pastella
Latte intero g 120
Farina g 80
Uovo 1
Sale
Pane grattugiato qb

Preparazione del brodo
Mondate le verdure, tagliatele a dadini, versatele in una casseruola, ricopritele con due litri di acqua fredda, fate prendere l’ebollizione, cuocete per circa un’ora a calore moderato. Filtrate attraverso un colino fine.
Preparazione del riso
Tritate la cipolla finemente. Utilizzando una pentola bassa e larga fatela colorire con tre cucchiai di olio extravergine di oliva Sette Templi. Aggiungete il riso e fatelo tostare per un minuto mescolando continuamente. Spruzzate con il vino bianco e, sempre mescolando, fatelo evaporare. Continuate la cottura a fiamma media aggiungendo brodo bollente quando il precedente si sarà assorbito. A metà cottura unite lo zafferano. Ritirate il riso dal fuoco quando sarà ancora un po’ al dente, regolate di sale, unite il Parmigiano Reggiano e la noce moscata. Stendete il risotto su un piano di marmo e lasciatelo raffreddare.

Preparazione del ripieno
Frullate il prosciutto, tagliate a dadini la mozzarella, grattugiate il Parmigiano Reggiano. Riunite in una terrina il prosciutto cotto, la mozzarella, il parmigiano, il burro a pezzettini e un pizzico di sale e di pepe. Unite l’uovo leggermente sbattuto e amalgamate.
Preparazione della pastella
Con l’aiuto di una frusta sbattete insieme il latte e l’uovo. Unite la farina e regolate di sale. Amalgamate il tutto fino ad ottenere una pastella fluida.

Preparazione delle arancine
Raccogliete il risotto con l’aiuto di un cucchiaio. Mettendo la mano a coppa ricavate un incavo. Riempitelo con un po’ di ripieno. Ricoprite con il riso, formate prima una palla, poi schiacciatela leggermente da una parte. Passate l’ arancina nella pastella e poi nel pane grattugiato. Procedete in questo modo utilizzando tutto il riso.
Scaldate l’olio extravergine di oliva Sette Templi alla temperatura di 160 °C. Immergete le arancine e fatele cuocere fino a che non saranno dorate. Scolatele, eliminate l’olio in eccesso con la carta assorbente. Servitele caldissime.

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