
Nella culla della Magna Grecia, Carmela Turnaturi ha fatto ritorno. E’ tornata in quei luoghi dove leggenda, storia e civiltà si fondono, dove i terreni sono spesso aspri e aridi, ma dove l’olivo, caro alla dea Athena, porta ricchezza. E’ tornata per placare la nostalgia di quel mare verdeazzurro, scintillante, impetuoso, immenso. Ogni giorno, quando lascia camice e provette, entra nel suo oliveto e ripetendo gli antichi gesti, quelli del suo papà, produce l’olio caro a Plinio, l’olio di Nocellara del Belice.

Vuoi presentare la tua Azienda?
L’Azienda Agricola Carmela Turnaturi, che porta il mio nome, nasce nel 2015 alla morte di mio padre. Si trova sulla costa sud occidentale della Sicilia, in provincia di Trapani a 7 Km da Castelvetrano e a 5 Km dal Parco Archeologico di Selinunte. Duemila olivi di Nocellara del Belice centenari, trecento alberelli piantati solo quattro anni fa che, lo scorso anno, hanno avuto una buona produzione e anche alcune piante di Cerasuola e di Biancolilla. Quest’ultima lo scorso anno è stata molita in purezza creando una nuova etichetta.

Dentro una bottiglia di olio si nasconde sempre una storia da raccontare. Una storia di uomini, di donne e di olivi. Vuoi raccontarmi la tua?
L’Azienda è nata con mio padre. A 18 anni era partito per l’Australia e lì era rimasto per 12 anni, senza ritornare in Italia, lavorando duramente in modo quasi continuativo, dormendo solo cinque ore per notte, facendo diversi lavori. Ritornato in Sicilia, pensando però di ripartire dopo breve tempo, aveva conosciuto mia madre e aveva cambiato i suoi progetti. Con quello che amava definire “un bel gruzzoletto”, guadagnato in Australia, e con la dote di mia madre, aveva acquistato questi terreni. Oggi, quando penso a lui, spero sia orgoglioso di noi. Spesso diceva: “Quando morirò io finirà tutto, perché voi venderete e io non voglio vedere tutto questo”. Invece, io, le mie sorelle, e mio fratello che vive a Modena e del quale gestisco i terreni, abbiamo deciso e di non vendere e di continuare l’attività di mio padre.

Carmela Turnaturi olivicoltrice, un’azienda tutta al femminile la tua?
Non proprio, condivido con mio marito Paolo questa mia passione. Senza di lui non sarei riuscita a portarla avanti. Lui è un biologo come me, sono tanti gli interessi che ci legano.

Cos’è cambiato da quando l’Azienda era di tuo padre?
Mio padre aveva prediletto la produzione di olive. La Nocellara è molto ricercata come oliva da mensa e da aperitivo. Produceva anche olio, ma in piccola quantità, senza un’etichetta. Io e mio marito Paolo abbiamo deciso, non solo di continuare la vendita delle olive all’ingrosso, e di creare dei paté, ma soprattutto di imbottigliare il nostro olio, dandogli un nome.

Avete dato al vostro olio un nome evocativo, come lo avete scelto?
La nostra Azienda sorge a pochi chilometri dal Parco Archeologico di Selinunte e sette erano i Templi di ordine Dorico della colonia greca di Occidente, dei quali uno solo è stato ricostruito. Da qui il nome Sette Templi e sull’etichetta una colonna dorica stilizzata.

Vuoi farmi l’analisi sensoriale di Sette Templi?
Sette Templi è un monocultivar di Nocellara del Belice. Un fruttato medio che all’assaggio esprime toni di amaro e piccante ben dosati e in equilibrio con note di pomodoro, carciofo e mandorla verde. All’olfatto si esprime con sentori di erba falciata. Suggerisco di provarlo su una caprese, sulla Caponata, sul pesto alla trapanese, ma anche sul gelato alla vaniglia e sul cioccolato fondente.

Hai mai lavorato con tuo padre? Ti ha visto olivicoltrice oltre che biologa?
Purtroppo no! E’ mancato prima, ma so che mi guarda da lassù e mi piacerebbe sapere cosa ne pensa. Ha gestito tutto lui fino alla sua morte, ha voluto che noi, i suoi figli, studiassimo, perché lui non ne aveva avuto la possibilità. Aveva con questa campagna un rapporto di amore e odio. Questi olivi erano un po’ come i suoi figli, ma aveva anche dei momenti di risentimento dovuti alla difficoltà di fare imprenditoria in Sicilia. Per noi continuare il suo lavoro è stata una scelta che abbiamo fatto per passione, avremmo potuto vendere, per lui no, suo padre già da bambino lo portava in campagna a lavorare.

Cos’è per te questo oliveto?
Un’oasi di pace dove io e mio marito veniamo quando siamo liberi dagli impegni lavorativi, perché la nostra occupazione principale ancora non è quella degli olivicoltori.

Cos’è per te intimamente l’olio?
L’olio è l’attesa, è il frutto di un anno di lavoro, è una festa. E’ il ricordo della mia infanzia, di mio padre che diceva: <<Stasera usciamo l’olio>> e si andava tutti al frantoio e si assaggiava il nuovo olio sul pane fresco.

Che tipo di raccolta effettuate?
La nostra è una raccolta manuale, che è sì costosa, ma permette alle nostre olive di arrivare al frantoio intatte, senza ammaccature e completamente prive di foglie. Inoltre le piante non subiscono alcun trauma, contrariamente a quanto avviene con la raccolta meccanica. Partecipiamo noi della famiglia e a seconda delle annate ci avvaliamo della collaborazione di sette operai.

Qual è il momento migliore per la raccolta?
Raccogliamo la prima settimana di ottobre, molto precocemente quando le olive sono del tutto verdi. Così otteniamo un olio che conserva tutti i suoi aromi ed è ricco di polifenoli quindi di tutti quegli antiossidanti che fanno bene alla salute. In questa zona alcuni produttori raccolgono a metà novembre. La sovra-maturazione porta a un aumento di resa in olio, ma ad un appiattimento del profilo aromatico. Con la raccolta precoce produciamo un olio di qualità, lo confermano le analisi alle quali viene sottoposto quando partecipiamo ai concorsi e viene inserito nelle guide del settore oleario.

Allora come si fa ad ottenere un olio di qualità? Qual è il momento in cui non è possibile sbagliare?
Tutti i passaggi sono fondamentali, ma il momento più importante credo sia la molitura. Paolo è presente al frantoio e segue ogni fase, dal cambio dell’acqua per il lavaggio delle olive alla misurazione della temperatura.

La pianta di olivo va nutrita? Voi concimate?
Sì concimiamo. Avendo aderito al piano di riduzione dei fitofarmaci, ogni tre anni utilizziamo lo stallatico di pecora, tutti gli anni spargiamo i rami più piccoli della potatura trinciati e seminiamo il favino che viene poi tagliato e diviene concime organico. Nel tronco di un nostro olivo c’è, da anni, un alveare di api nere sicule, questo dimostra la salute dei nostri terreni. Ci avvaliamo della consulenza di un agronomo, dobbiamo rifarci al passato, ma con lo sguardo rivolto al futuro, noi poi abbiamo bisogno di essere seguiti, perché quando mio padre era in vita la campagna era per noi solo il luogo dove andare a villeggiare.

Questo che anno sarà?
Poteva essere migliore, non è un’annata ricca. Nel mese di maggio una settimana di forte vento di scirocco ha fatto cadere parte delle inflorescenze. Lo scorso anno abbiamo perso il 40% del raccolto a causa della pioggia caduta sempre nel mese di maggio, che non ha favorito all’allegagione. Purtroppo, in campagna è così, gli eventi atmosferici sono indomabili.

Si può vivere facendo gli olivicoltori?
Sì, ma il lavoro è tanto e il guadagno è poco e può anche essere inesistente se le condizioni climatiche sono avverse. Mio padre ci è riuscito, ha allevato quattro figli, ma ora che l’azienda è mia capisco tanti suoi piccoli malumori…

Perché in Italia la produzione di olio di qualità è costosa e i ricavi sono bassi?
Semplicemente perché le spese sono tante. Noi spendiamo molto per la potatura, le squadre sono poche ed è una competenza che si sta lentamente perdendo. E’ molto costosa anche l’irrigazione del periodo estivo e poi la manodopera necessaria per la raccolta.

Ora ti invito ad andare indietro nel tempo, è estate, sei una bambina, è ora di cena, raccontami…
Siamo in campagna nei nostri oliveti, dove stiamo trascorrendo l’estate. Sono con i miei genitori, le mie due sorelle e mio fratello, mia madre ci chiama ad assaggiare, dal suo forno a legna sono usciti i biscotti, le pizze, il pane. Sul pane caldo versa il nostro olio e noi bambini felici lo mangiamo.

Progetti futuri?
Terminare la sala degustazione alla quale stiamo già lavorando. Crediamo nell’olioturismo, siamo vicini al Parco di Selinunte, vorremmo accogliere coloro che vanno a visitarlo e fargli trascorrere qualche ora nel nostro oliveto assaggiando il nostro olio.

Un sogno nel cassetto?
Vorrei che i miei figli che, come ho fatto io, stanno studiando a Modena, tornino a vivere in Sicilia e che questi oliveti non vadano venduti. Vedremo…io amo dire che nella vita si sa dove si è nati, ma non si sa dove si muore.

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