Oggi, 16 ottobre 2016, si festeggia la Giornata Mondiale del pane, a questa festa si unisce anche il Calendario del Cibo Italiano, come ambasciatrice Sonia Nieri Turrini, del blog Quattro passi in cucina.
Accompagnata dalle foto del lavoro che il fornaio Angelo compie ogni giorno nel Forno Scarfò di Roma, vi racconterò il pane in modo diverso.
Si narra che il pane nacque in Egitto, e la sua nascita di lega a due leggende. La prima racconta che un giorno il Nilo, durante il periodo di piena, aveva bagnato dei sacchi di farina e da questi erano nati i primi impasti.
La seconda narra che, una schiava egizia per far dispetto alla sua padrona aveva aggiunto alla pasta del pane il residuo della preparazione della birra e questa aveva cominciato a fermentare.
Gli Egiziani impastavano il pane con i piedi, come appare nel dipinto detto “La panetteria regale”, trovato in una tomba e che raffigura i fornai alla corte di Ramsete III (1198-67 a.C.). La forma di pane più antica giunta fino a noi risale al 3530 a.C., ed è stata ritrovata a Twann, in Svizzera.
Nel V secolo a.C. i Greci erano in grado di produrre 72 diversi tipi di pane. Il poeta Archestrato di Gela scrisse: << Pane sì bianco che l’eterea neve Vince in candor>>.
A Demetra, dea greca, personificazione della terra fertile, sorella di Zeus, identificata come Cerere dai Romani, che insegnò a Trittolemo l’arte dell’agricoltura donandogli un carro trainato da draghi alati per percorrere il mondo seminando il grano, all’inizio di ogni primavera i Greci offrivano pani votivi, in segno propiziatorio.
In Grecia, da sempre, in occasione delle nozze, si depone sull’altare il gamèlio, un pane intrecciato, impastato con la farina del primo raccolto, miele e zafferano, cosparso di semi d sesamo, che il pope benedice, e che dopo la cerimonia viene mangiato dagli sposi in segno propiziatorio. Il miele si lega al ciclo femminile, lo zafferano è considerato un potente afrodisiaco.
Anche ad Anafi, isola egea, in occasione delle nozze si preparava un pane allo zafferano detto zaforisto. Lo zafferano era il simbolo dell’unione tra uomo e donna. Fiori di zafferano decoravano il talamo nunziale di Zeus ed Era. Il protettore del matrimonio, il dio Imeneo, portava un mantello color giallo zafferano.
I Romani impararono dai Greci l’arte della panificazione. Pare che a Roma nel terzo secolo d.C. vi fossero 200 forni. Venti erano le varietà diverse di pane, un tipo veniva utilizzato solo per inzupparlo nel vino, e un altro solo per preparare il pastone degli animali.
La capacità di coltivare i cereali e di trasformarli in pane è da sempre considerata un simbolo di civiltà. Omero questo scrive nell’Odissea per descrivere Polifemo “ Era un mostro gigante; e non somigliava a un uomo mangiator di pane, ma a picco selvoso d’eccelsi monti, che appare isolato dagli altri”.
Il Ciclope viene considerato inferiore all’uomo perché capace di cibarsi solo di carne e di latte.
Nella Bibbia, il Signore comanda al Profeta Ezechiele “Prendi grano, orzo, fave lenticchie, miglio e farro, mettili in un recipiente e fattene del pane”. Un pane da mangiare per un periodo di penitenza di centonovanta giorni.
Il pane che a Roma nel 100 d.C. diviene simbolo di decadenza. A tal proposito il poeta satirico Giovenale scrive “Il popolo è soddisfatto di due sole cose, pane e giochi”. Il pane distribuito nei circhi era il gradilis, prodotto con farine secondarie, mentre quello distribuito dall’Annona era il panis civilis, realizzato con il cruschello.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano” è la quarta invocazione del “Padre Nostro”, la preghiera cristiana insegnata da Gesù, così la spiega lo scrittore Luigi Accattoli nel suo libro “Il Padre Nostro e il desiderio di essere figli”.
“Insegnaci ogni giorno a meritarci il pane che ci dai, a non sottrarlo agli altri, a non accumularlo, a darlo con l’abbondanza con cui lo riceviamo, a realizzare un mondo che abbia pane per tutti.”
Nulla più del pane ci lega alle nostre origini, tutti abbiamo nella nostra mente e nel nostro cuore il ricordo del sapore e del profumo del pane di quando eravamo bambini. A tal proposito il poeta, scrittore, gastronomo spagnolo Manuel Vàzques Montalbàn , nel “Quintetto di Buenos Aires” ha scritto
“Una mattina mia madre mi diede un pezzo di pane che sembrava appena sfornato e un pugno di olive nere, molto saporite, di quelle olive rugose che chiamano aragonesi. Ricordo quei sapori, la gioia della mia libertà in strada , lo sguardo protettivo di mia madre. Se potessi tornare a quella mattina!”.
Corrado Alvaro nella novella “Madre di paese” ha scritto: << Il ragazzo mangiava il suo pane come se mangiasse il creato, le creature, la razza, la famiglia >>.
In un semplice pezzo di pane, l’universo intero e tutta la sua vita.
“Perché non ho pane di mio. Quel po’ che ci avevo , insieme a quei pochi quattrini, li ho lasciati alla mamma”, questo dice Nedda nella novella di Giovanni Verga. Non avere pane, significa non avere nulla, essere l’ultima, la più povera tra i poveri.
Il pane diviene amaro quando si è lontani da casa. Questo scrive il poeta Leonida Répaci, nel 1974, nella poesia “I calabresi lasciano la terra”.
Pane rompe il fronte della paga
pane salato pane maledetto
pane fatto di spighe avvelenate
pane che resta in gola e non va giù
pane che più ne mangi e non ti sfami
pane pregato da bocche da latte
pane affettato da lame di fiele…
Per il popolo ebraico esiste il “pane dell’esodo”, il pane della fuga dall’Egitto. Il pane della liberazione dalla schiavitù. Il pane senza lievito, perché manca il tempo per la lievitazione. La matzàh, che ancora oggi gli ebrei mangiano per sette giorni, come segno di una nuova vita.
Poi c’è il pane del dolore il lavash, il pane degli Armeni, lungo e sottile, il pane del popolo perseguitato e sterminato dall’odio etnico, nell’indifferenza del mondo. Il loro, il genocidio del XX secolo. Oggi quasi due milioni di armeni non ci sono più, ma tutti sembrano averlo dimenticato.
La scrittrice armena Antonia Arslan nel suo libro “La masseria delle allodole” scrive “…vedono arrivare le donne con il pane e sentono l’urlo possente del piccolo popolo allo stremo”.
Il pane, mille forme, mille significati, l’alimento che ci accompagna per tutta la vita, miracolo della natura e frutto del lavoro dell’uomo.
Si ringrazia il Forno Scarfò via Stimigliano, 6 Roma per aver permesso la realizzazione delle foto, e il fornaio Angelo per la partecipazione e la collaborazione.
Quante belle citazioni, tutte ben incastonate in un racconto coinvolgente e commovente. Il tutto illustrato dalla nascita del pane in un forno moderno, a dimostrazione che la poesia del pane è ancora viva, per fortuna.
Complimenti!
Un caro saluto
Maria Teresa
Grazie Maria Teresa…
complimenti Gabriella un bel post pieno di notizie e storia del pane , un post che scivola via senza accorgersene da quanto è carino, grazie per aver partecipato a questa importante giornata con il tuo bel racconto illustrato da foto che rendono onore al lavoro dell’uomo
Ciao Sonia