La scarna descrizione del disciplinare di produzione lo definisce un formaggio presamico pressato a pasta semidura, ottenuto da latte di vacca crudo con l’eventuale aggiunta di latte ovino e/o caprino in percentuale da un minimo del 5% ad un massimo del 20%. Ma il Castelmagno è veramente molto di più: è nove secoli di storia, è tradizione e competenza tramandate di generazione in generazione, è amore per la montagna, per gli animali, per la propria terra, è desiderio di continuare ad esserci nonostante tutto, è gusto, ma è soprattutto un sapore unico, inimitabile, inconfondibile.
L’origine del nome è incerta, si dice che gli sia stato dato per il Santuario di San Magno, costruito proprio a Castelmagno, in memoria di un soldato romano martirizzato sulle montagne circostanti e dedicato a San Magno martire, protettore del bestiame e dei pascoli. Una leggenda racconta che fosse il preferito di Carlo Magno, che lo aveva assaggiato, ospite del Marchese di Saluzzo, prima dell’incontro con il Papa Leone III. Antichi documenti parlano di un canone di affitto per i pascoli da pagarsi in forme di Castelmagno al Marchese di Saluzzo.
Il re dei formaggi, come viene definito nei comuni di produzione Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana ha ottenuto nel 1996 il riconoscimento della denominazione di Origine Protetta, con la stesura di un rigorosissimo disciplinare di produzione, come dicono gli uomini e le donne che lo producono: il disciplinare più rigoroso di tutti i formaggi. Con un ente certificatore, l’APA, riconosciuto a livello nazionale che controlla una volta al mese la quantità di latte munto.
Si racconta che è un formaggio nato per caso dalle mani degli allevatori più poveri che avevano nella stalla due o tre mucche e forse solo una pecora e una capra, quindi non riuscivano con il latte di un’unica mungitura a produrre una forma di formaggio e dovevano unire il latte della sera a quello del mattino. Erano tempi duri di povertà assoluta, la temperatura del latte era controllata con un dito, la toma e il siero venivano messi a maturare in tinozze di legno circondate da letame di mulo senza spostarle dalle stalle che erano i luoghi più caldi.
Proprio perché anche oggi si utilizza il latte di due mungiture è un formaggio fatto due volte, ma vediamo come: il latte viene riscaldato dai 30 ai 38°C, viene aggiunto il caglio liquido di vitello, senza l’ausilio di fermenti lattici. Questo provoca la coagulazione e la formazione della cagliata, che viene poi rotta alle dimensioni di una nocciola e lasciata che si depositi sul fondo della caldaia, per poi essere raccolta in tele di lino, le risole, e lasciata scolare dal siero per 18 ore. Trascorso questo tempo viene tagliata a fette e immersa nel siero delle lavorazioni precedenti, nel maturatore, a temperatura controllata, per un tempo che varia dai due ai quattro giorni. Questa sosta sotto siero darà al Castelmagno la caratteristica nota acidula. Estratta dal siero, la cagliata viene rotta nuovamente, ed è per questo che il Castelmagno è detto formaggio a pasta rotta, e poi introdotta nelle fascere all’interno di teli e messa a pressare per un giorno con il marchio di origine. L’ultima operazione è la salatura a secco. A questo punto sono trascorsi ormai sei giorni e il formaggio è pronto per la stagionatura. Il Castelmagno riposa dai 60 giorni ai 3 anni, in grotte naturali dove l’umidità è pari al 90% e la temperatura è di 6-8 gradi. Lo stagionatore poggia le forme su assi di larice in ordine di stagionatura e ogni settimana con occhio vigile le controlla e le spolvera eliminando gli acari in eccesso. Nel buio della grotta, con il passare del tempo, il Castelmagno cambia, la crosta da sottile e liscia diventa spessa e rugosa, il suo colore da giallo-rossastro diventa grigio. La pasta da bianca diventa dorata a volte le muffe naturali l’attaccano e si forma l’erborinatura.
Il sapore da delicato di latte, diventa saporito, piccante, amarognolo per quello d’alpeggio. D’alpeggio perché esistono due Castelmagno diversi tra loro per il sapore, le caratteristiche e il luogo e il periodo di produzione.
Entrambi sono marchiati con la caratteristica C stilizzata, il marchio di origine che raffigura le vette alpine nella parte superiore e al centro la forma tagliata e sono: il Castelmagno prodotto della montagna e il Castelmagno d’alpeggio. Il primo si ottiene quando la produzione del latte e la caseificazione avvengono dai 600 ai 1000 metri di altitudine, ed è riconoscibile dalla sventolina di colore blu. Il Castelmagno d’alpeggio si ottiene da latte che proviene da animali mantenuti al pascolo in alpeggio nel periodo compreso tra l’inizio di maggio e la fine di ottobre. Gli animali devono essere mantenuti al pascolo con almeno il 90% di flora locale. Tutto il processo produttivo deve avvenire in alpeggio e la caseificazione sopra i 1000 metri, ed è riconoscibile dalla sventolina di colore verde. Oggi il Castelmagno, dopo un periodo di difficoltà che sembrava dovesse portarlo a scomparire è apprezzato ed esportato in tutto il mondo. Il formaggio, un prodotto antico migliaia di anni, un misto di storia e leggenda. Bisogna risalire alla notte dei tempi quando un giovane pastore, dovendo partire per un viaggio che prevedeva essere molto lungo, aveva messo nella sua borraccia, fatta con lo stomaco di una capra, del latte da bere lungo la strada. Il ragazzo però non sapeva che nello stomaco dei ruminanti sono sempre presenti degli enzimi che facilitano la digestione del latte, quindi quando aveva cercato di bere, al posto del latte aveva trovato la cagliata, un liquido acido e giallognolo, che in seguito avrebbe utilizzato per produrre il primo formaggio, forse un antenato del Castelmagno?
Le foto delle forme di Castelmagno, il santuario, ed il marchio sono gentilmente offerte da: http://www.castelmagno-oc.com/
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