
“La bruschetta con l’aglio e l’olio rappresenta l’ultimo gradino nel campo delle piccole preparazioni occasionali della tradizione romana…non è infrequente che gaie comitive di nottambuli, uomini e donne, penetrino in qualche ritrovo alla buona per gustare questa famosa bruschetta, votandosi volontariamente a tutte le conseguenze della rusticissima degustazione. Conseguenze che possono riassumersi in un grande bruciore di bocca ed evidentissime tracce non troppo profumate nell’alito”.
Così scriveva Ada Boni, gastronoma e giornalista, nel 1929, nel suo libro “La cucina romana”. Forse da collocarsi all’ultimo gradino delle preparazioni, ma sicuramente una bontà, calda, croccante, inebriante per il suo profumo di olio extravergine e pepe nero macinato al momento.
Per raccontarne la storia dobbiamo andare molto indietro nel tempo, in quanto, è probabilmente figlia del “crustulum” romano, la focaccia spruzzata di olio che veniva offerta ai cittadini in occasione delle festività civili e religiose. Dalle ricerche di Secondino Freda, storico della gastronomia, la bruschetta pare sia nata per caso in Sabina, zona vocata alla produzione dell’olio extravergine di oliva già in epoca romana, con la caduta accidentale di una fetta di pane sulla brace.
Bruschetta da bruscare che nel Lazio significa abbrustolire. Abbrustolire sulla brace di carbone dopo aver inciso la mollica della fetta di pane con un coltello affilato.
È lo stuzzicharello romano più amato, chiamato dal popolino affettuosamente anche cappone, perché spesso, tra i più poveri, sostituiva il cappone, il pollo castrato cotto “alla diavola”, sulla brace.

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