
Il cazzimperio è uno degli stuzzicarelli della cucina romana. Via dalla Città Eterna si direbbe, molto più elegantemente, pinzimonio, ma a Roma “diamo a Cesare quel che è di Cesare” e quindi non possiamo che chiamare cazzimperio lo sfizio che vanta da sempre proprietà afrodisiache al pari delle ostriche e del peperoncino. Il nome deriva dalla credenza che finocchio e sedano, che sono le verdure da immergere nella semplice emulsione di olio, sale e pepe, fossero eccitanti e stimolanti. I semi di finocchio proprio per questo entravano largamente nella dieta dei gladiatori. Plinio, scrittore e naturalista romano, nel Naturalis Historia scrive: <<Le foglie stimolano l’appetito sessuale e in qualunque forma il finocchio stimola la produzione di sperma>>. Secondo La scuola medica salernitana: <<Il seme di finocchio bevuto con il vino eccita ai piaceri di Venere e si dice che ridesti nei vecchi il giovanil vigore>>. Il finocchio veniva offerto gratuitamente nelle osterie per quella sua proprietà di far sembrare buono qualsiasi vino, anche il più scadente. Da qui è nato il modo di dire “infinocchiare” che significa imbrogliare e mistificare.

Anche il sedano era per i Romani compagno di grandi bevute. Gli abitanti della Città Eterna, durante i banchetti, usavano posarsi sul capo delle corone di sedano, perché ritenevano che il suo profumo avesse la proprietà di mantenerli sobri. Giovanni Michele Savonarola, medico e scienziato, consigliava alle donne di non mangiare sedano perché <<anche a quelle che sono caste, e caste voleno restare irrita il coito>>. Anche in Francia erano note le sue doti, tanto da spingere il gastronomo Laurent Grimod de La Reynièr, autore di “Almanach des Gourmands”, a scrivere: <<Pur perdendo, quando è cotto, una parte delle sue qualità medicinali, non si può tuttavia nascondere che il sedano sia una pianta ricca di aromi, corroborante, stimolante, eccitante e di conseguenza fortemente afrodisiaca. Poiché ne siamo a conoscenza siamo obbligati ad avvertire le persone timorate, di questa proprietà del sedano, affinché se ne astengano o ne facciano un uso producente. Ciò vuol dire che non è un’insalata dei celibi>>. Il sedano era arrivato a Roma nel Cinquecento, portato dall’erborista greco Atanasio Kirgiu, che aveva iniziato a coltivarlo nei campi intorno a Fontana di Trevi. Accusato di coltivare un’erba venefica, era stato portato al cospetto del papa Clemente VIII che lo aveva costretto, per vederne gli effetti, a mangiarne varie piante. “Il greco”, come lo chiamavano i romani, nonostante la grande quantità di sedano ingurgitata, non aveva avuto alcun effetto ed era stato rilasciato dopo poche ore. Solo un anno dopo era stato nuovamente richiamato, ma questa volta per essere premiato con una medaglia d’oro e per essere invitato ad aumentarne la produzione. Visto il grande successo della coltivazione, il Cardinale Alvise Corner era arrivato ad affidargli il compito di coltivare il sedano nel suo giardino, per una sua produzione personale. Insomma, il sedano in breve tempo era divenuto, la specie erbacea, più amata dal clero. E i romani? Inutile dirlo, se ne innamorarono perdutamente, come solo loro sanno fare, e cominciarono a mangiarlo anche loro crudo, ma anche ad aggiungerlo come ingrediente nei loro piatti, chiamandolo prima l’erba del greco e poi sellero.
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