
Carciofo alla giudia dello chef Claudio Mengoni 1 Stella Michelin
Ecco il carciofo alla giudia, piatto tipico della cucina ebraica, ma oggi anche romana, eh sì, perchè con il passare del tempo, Roma l’ha accolto amorevolmente, come fa con tutto e con tutti, facendolo un po’ suo. Il fiore appena sbocciato, che emerge croccante dall’olio bollente, nasce nel ghetto di Roma nel XVI secolo.

Un susseguirsi di vicoli bui e maleodoranti, dove si affacciavano case piccole e umide senza energia elettrica e dove l’unica acqua era quella delle inondazioni del fiume Tevere, questo era il quartiere ebraico della Capitale, quando questo piatto vide la luce. Il ghetto, chiuso dal tramonto all’alba, raggiungibile solo attraverso otto ponti, custodiva usi, costumi e anche sapori derivanti dalle influenze esterne e straniere. La cucina seguiva, allora come oggi, le regole dettate dalla Bibbia e il carciofo era il cibo da mangiare dopo il digiuno di Yom Kippur.

Sette sono i digiuni previsti dal calendario religioso ebraico, ma Kippur è il più importante, praticato anche dagli ebrei non osservanti. Detto il “sabato dei sabati” è il giorno della purezza, perché prima del suo arrivo devono essere saldati tutti i debiti sia morali che materiali. Si deve chiedere personalmente perdono alle persone che si sono offese e anche a Dio, per le trasgressioni compiute verso di Lui. Il digiuno di espiazione, che dura venticinque ore, viene praticato il decimo giorno del settimo mese e impone l’astensione totale da ogni cibo e bevanda dal tramonto del sole del nono giorno fino alla apparizione delle stelle delle stelle. E’ vietato anche il lavoro, ungersi, calzare scarpe di cuoio, praticare rapporti sessuali, mentre è permesso odorare profumi.

Il carciofo alla giudia è un piatto semplicissimo, che richiede solo acqua, limone, un buon olio extravergine di oliva e un pizzico di sale. Ma si sa, che i cibi più semplici sono quelli più buoni, in barba, e non solo a quella del carciofo, alla laboriosa cucina gourmet. Ma per far sì che il carciofo sia conforme alle regole alimentari ebraiche, deve essere una mammola dalla corolla stretta, per impedire l’annidarsi di parassiti che lo renderebbero impuro e, prima di essere fritto, deve essere tuffato aperto in acqua e limone. Solo in questo modo la procedura di purificazione sarà completa e il carciofo sarà in linea con le regole Kasher. Ma non è solo il piatto del “dopo digiuno” è anche il piatto di ogni Seder, la cena della Pasqua ebraica, proprio per la sua forma rotonda che richiama la continuazione della vita. Durante la celebrazione si serve anche il Maror, l’erba amara che simboleggia l’amarezza della schiavitù.

Il fuori croccantissimo e dentro morbidissimo ha ormai cinque secoli di storia, ma assolutamente non li dimostra. Immutato, sempre giovane e sempre amato attende, “bruciante”, i suoi innamorati sulle tavole romane.
Lascia un commento