Come non portare a Milano il Broccolo Romanesco, il fiore verde celebrato anche dai poeti della cucina romana Trilussa e Belli.
Ma vediamo di conoscerlo meglio questo ortaggio da fiore. Il suo nome deriva dal latino broccus che significa germoglio ed è originario dell’Asia Minore. I Greci lo consideravano sacro. Ha una forma a punta, il suo colore è verde intenso, brillante e uniforme all’esterno, bianco latte all’interno. Appartiene alla famiglia delle crucifere, è una pianta rustica, vigorosa che resiste bene al freddo. Si semina da maggio ad agosto e si raccoglie da novembre a febbraio. Il Broccolo ha un sapore e un odore unico, i Romani lo mangiavano prima dei banchetti per aiutare l’organismo ad assorbire meglio l’alcool. In passato questa infiorescenza era considerata il mangiare dei poveri, oggi se ne parla molto per le sue virtù salutistiche. Nel 1992, la più antica Università americana la Johns Hopkins University ha individuato nel Broccolo alte concentrazioni di sulforafane che ha grandi proprietà antitumorali e neuroprotettive, pare inoltre che nei germogli con 3 giorni di vita vi sia una concentrazione da 30 a 50 volte più elevata di questo componente rispetto alla pianta matura. Il Broccolo però deve essere masticato lungamente perché si liberi dai vacuoli cellulari il sulforafane.
Una volta raccolto va consumato entro 2 giorni altrimenti vanno perse le vitamine A e C. Contiene anche calcio e fosforo quindi è un alimento prezioso per i bambini e i ragazzi in crescita. Come si mangia? Crudo o cotto? Se è appena colto anche crudo in pinzimonio, cotto invece è ottimo a vapore oppure bollito in acqua acidulata con il limone.
Per il suo sapore è l’ingrediente ottimale per minestroni e sformati, Pellegrino Artusi, critico enogastronomico dell’800 consigliava in sua memoria una ricetta con il Broccolo Romanesco.
Il naturalista Plinio il Vecchio, nella sua enciclopedia Naturalis Historia, dedicata all’imperatore Tito, descrive la pianta come “ramosa e folta”.
Gli abitanti della città eterna lo gustavano “alla romana”. Facevano cuocere in un tegame le cimette e le foglie più tenere, dopo aver soffritto nell’olio di oliva 2 spicchi d’aglio schiacciati. Durante la cottura aggiungevano vino bianco, rigorosamente dei Castelli Romani, e lo servivano quando era ben cotto, ma non spappolato ed era evaporato completamente il liquido di cottura. Nell’antichità era utilizzato anche come medicinale infatti, il suo brodo mescolato alla farina d’orzo era utilizzato per curare piaghe e ulcere. Si dice che il mercoledì i Romani mangiassero la zuppa di broccoli e arzilla, pare per utilizzare il pesce del giorno prima non più freschissimo. Il Broccolo per il suo sapore forte, con note di pinolo e noce si accompagnava bene con l’arzilla.
Il Broccolo Romanesco non è solo storia e poesia ma anche matematica, infatti secondo un concetto creato nel 1975 dal matematico polacco Benoit Mandelbrot,
la sua forma è quella di una figura geometrica il frattale, quindi ogni sua parte e autosimile.
Infatti se osserviamo ogni rosetta che compone l’ortaggio vedremo che essa è un Broccolo in miniatura perfettamente uguale al Broccolo da cui è stata staccata.
Inoltre il numero delle rosette che compongono il Broccolo Romanesco è un numero di Fibonacci. Nella successione Fibonacci ogni termine, dopo i primi 2, è la somma dei 2 termini precedenti 1,1,2,3,5,8,13,21,34….. Fibonacci era in realtà il matematico toscano Leonardo Pisano, vissuto 8 secoli fa.
Per scoprire la sua successione numerica aveva osservato prima il regno animale analizzando una coppia di conigli e il numero dei loro coniglietti, poi il regno vegetale studiando il numero dei petali della margherita di campo, per intenderci quella della domanda: <<M’ama o non m’ama>>, terminando poi il suo studio sul numero delle rosette del Broccolo Romanesco. A Roma il Broccolo Romanesco si mangiava e si mangia ancora ‘’strascinato in padella”, insaporito con un pezzetto di peperoncino. Nelle antiche trattorie romane è cucinato fritto e in tutte le case romane, la sera del 24 dicembre, nessuno rinuncia alle immancabili frittelle di broccolo, calde, bianche, croccanti, in una parola deliziose.
Quindi il Lazio celebra all’Expo un prodotto, profondamente legato alla città di Roma, che piacque al suo popolo e ai suoi poeti dialettali. Trilussa di Maria le serva scriveva: <<Pe’ cacciaje un centesimo so’ guai! Com’è tirata lei, se tu la senti! Dice: << Tre sordi un broccolo? Accidenti!>>.
Giuseppe Giovacchino Belli invece racconta di una Roma di solo 120 mila abitanti, divisa in 14 rioni, una città quasi interamente immersa nel verde, con orti e vigne, con un popolo che quasi sempre pativa la fame. A Roma, per il Belli, scialavano o meglio magnavano bene solo gli impiegati, le prostitute, i preti, i cardinali e lo stesso Papa-Re e per gli altri solo pane, vino e Broccolo, quello de Torzetto l’ortolano a li Serpenti.
Chiudendo questo lungo racconto sul Broccolo Romanesco si può dire che l’Expo vuol essere anche un invito a visitare la città eterna, perché Roma non è solo emozione e suggestione, ma è anche gusto, cucina e umanità e allora, venite vi attende.
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