
Nizza 1840, in una luminosa giornata di fine maggio, preludio dell’estate in arrivo, il genio ci ha lasciato. Non si parla d’altro, o meglio si bisbiglia di diavoli e presenze demoniache, perché da sempre il delirio lo accompagna. Triste, malato, in cerca di pace, se n’è andato lontano da casa, dalla sua Genova, che gli aveva dato i natali in una triste giornata di fine ottobre. Pallido e consunto, afflitto da malattie che parevano susseguirsi instancabili senza abbandonarlo mai, come la sifilide, regalo dei suoi eccessi amorosi. Le donne bruciavano di passione, ogni sua rappresentazione mandava il pubblico in delirio. Genio e sregolatezza questo era Niccolo’ Paganini. Una magrezza che lo rendeva etereo e malefico quando, nelle sue esibizioni, tendeva fino allo spasimo anche una soltanto delle corde del suo violino. Ventiquattro i suoi capricci, tutti estro e fantasia, passi su posizioni altissime, una velocità senza eguali. Eccentrico e geniale, unico per il suo tempo e forse non solo. Caldo e appassionato, in scena e nella vita, Niccolo’ non poteva non amare il cibo, non solo quello semplice di sua madre, “raccontato” in alcune lettere che ci ha lasciato, ma anche quello saporito e di tempra, come era lui. Questa è la ricetta dei suoi ravioli, nella quale, essendo ligure, con può mancare la “boraxe”. Conservata nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti a Washington, risale al 1839, un anno prima della sua morte.

“Per una libbra e mezza di farina due libbre di buon manzo magro per fare il suco. Nel tegame si mette del butirro, indi un poco di cipolla ben tritolata che soffrigga un poco. Si mette il manzo, e fare che prenda un po’ di colore. E per ottenere un suco consistente si prende poche prese di farina, ed adagio si semina in detto suco affinchè prenda il colore. Poi si prende della conserva di pomodoro, si disfa nell’acqua, e di quest’acqua se ne versa entro alla farina che sta nel tegame e si mescola per scioglierla maggiorente, e per ultimo si pongono entro dei fonghi secchi ben trifolati e pestati, ed ecco il suco. Ora veniamo alla pasta per tirare le sfoglie senza ovi. Un poco di sale entro la pasta gioverà alla consistenza della medesima. Ora veniamo al pieno. Nello stesso tegame con la carne si fa in quel suco cuocere mezza libbra di vitella magra, poi si leva, si tritola e si pesta molto. Si prende un cervello di vitello, si cuoce nell’acqua, poi si cava la pelle che copre il cervello, si tritola e si pesta bene separatamente, si prende quattro soldi di salsiccia luganega, si cava la pelle, si tritola e si pesta separatamente. Si prende un pugno di borage chiamata in Nizza boraj, si fanno bollire, si premono molto, e si pestano come sopra. Si prendono tre ovi che bastano per una libra e mezza di farina. Si sbattano, ed uniti e nuovamente pestati insieme tutti gli oggetti soprannominati, in detti ovi ponendovi un poco di formaggio parmigiano. Ecco fatto il pieno. Potete servirvi del capone in luogo del vitello, dei laccetti in luogo di cervello, per ottenere un pieno più delicato. Se il pieno restasse duro, si mette nel suco. Per i ravioli, la pasta si lascia un poco molla. Si lascia per un’ora sotto coperta da un piato per ottenere foglie sottili.

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