
In questi mesi di pandemia Roma è vuota. Non più meta di turismo e di pellegrinaggio religioso, la città sembra riposare e attendere di ritornare ad essere quello che è sempre stata nei secoli dei secoli, ospitale ed accogliente.
Nella notte dei tempi i pellegrini raggiungevano la Città Eterna a piedi. Spesso arrivavano esausti dopo un viaggio lunghissimo, travagliato e anche pericoloso. Tutti erano consci di quello che li attendeva tanto che i più ricchi, prima di mettersi in viaggio, redigevano il loro testamento.
Le visite al Papa, rappresentante di Dio in terra, si intensificavano in occasione degli Anni Santi. La città era inondata di gente, secondo fonti storiche dell’epoca, nel 1450 la popolazione contava 30.000 abitanti, ed ogni giorno era letteralmente occupata da 40.000 pellegrini.
Ma dove alloggiavano? Diciamo che Roma si era organizzata per accoglierli tutti. Basti pensare che nel 1854, Alessandro Ruffini nel suo libro “Notizie storiche intorno alle origini dei nomi di alcune osterie, caffè, alberghi e locande esistenti nella città di Roma” elenca: 712 osterie, 217 caffè, 49 locande, 28 alberghi e 29 trattorie. Le strutture di lusso si trovavano intorno Campo de’ Fiori, quelle più povere vicino a San Pietro.
Tutte, povere e ricche, avevano in comune insegne vistose, soprattutto disegni di animali e santi facilmente riconoscibili ad un pellegrino che spesso non sapeva né leggere né scrivere.

Cosa mangiava il pellegrino? La sua giornata era faticosa in quanto era prevista la visita alle quattro Basiliche con confessione e preghiere e una processione dal Papa per la benedizione. Non è rimasta traccia di un menù “fisso” del pellegrino. Le testimonianze sono tante e sicuramente si cercava di assecondare i gusti di persone che arrivavano dai luoghi più disparati. Il pasto solitamente si apriva con una minestra di legumi e verdure. Il pane non era di buona qualità. Si panificava con tutto: grano, orzo, miglio, castagne, ceci e addirittura ghiande. Al vino, abilmente, veniva aggiunta dell’acqua. L’olio era mal fatto ed era impossibile ritrovare l’amaro e il piccante e qualsiasi profumo. La carne era poca e solo affumicata o salata.
I pellegrini che invece sceglievano di alloggiare nei conventi dei Frati Minimi venivano rifocillati con una “cucina di strettissimo magro”, dalla quale erano banditi carne, uova, formaggio e tutti gli altri latticini.
Quello che ancora si ricorda è il Giubileo del 1950. Il Papa era Pio XII, la guerra era finita. La città era allegra, i ragazzi romani corteggiavano le pellegrine straniere giovani e belle e le attendevano fuori dalle Basiliche. Poche parole in inglese, le uniche conosciute, e il fascino italiano mieteva le sue vittime. Una passeggiata e poi a Borgo Pio guardando il Cupolone, una pizza e una fetta di torta, la torta del Pellegrino.

Perché anche i cuochi romani avevano fatto di necessità virtù. Poi a notte fonda, prima di tornare in albergo, un ballo, quello nuovo arrivato dal Brasile, trasformato per l’occasione nella Samba del Pellegrino.
Forestiero che venivi
con le scarpe rosse ai piè
vieni a Roma e ti domandi:
Beh! Di nuovo cosa c’è?
Vuoi mangiare? Mangerai!
Vuoi cantare? Canterai!
Se vuoi ballar la samba,
mio caro forestiero,
ti muoverà la gamba
il vino più sincero!
C’è il pranzo romanesco
che ti fa mandare in gloria.
Son piene le vetrine
cambia dollari e sterline
compra almeno un “souvenir”.

TORTA DEL PELLEGRINO
Ricotta di bufala g 300
Panna g 30
Uova g 180
Zucchero semolato g 150
Farina 00 g 100
Lievito chimico g 16
Vaniglia 1 bacca
Semi di papavero g 10
Zucchero g 5
Mandorle in granella g 50

Lavorare a crema la ricotta unendo a filo la panna. Montate i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso. Unite la crema di ricotta. Incorporate prima la farina setacciata con il lievito poi la bacca di vaniglia e i semi di papavero. Montate a neve fermissima gli albumi con 5 g di zucchero. Uniteli al composto mescolando delicatamente per non smontarli. Imburrate e cospargete con metà delle mandorle uno stampo da ciambella. Versatevi il composto e spolveratelo con il resto delle mandorle. Cuocete in un forno statico preriscaldato a 180 °C, 155 °C se il forno è ventilato per 45 minuti in presenza di umidità, mantenendo chiuse valvola o porta di carico del forno.

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