
Giosue Carducci poeta, scrittore, professore di letteratura italiana, senatore, ma anche amante delle osterie romane. Senza voler apparire irriverenti, ma è proprio così. Vino, cucina e umanità, questo erano allora le osterie della Capitale e il poeta aveva iniziato a frequentarle con assiduità, quando nel 1890, nominato Senatore, aveva intensificato i suoi viaggi in città.
Non è lui che ce ne parla, ma il suo stretto collaboratore Mario Menghini. Il desinare romano solitamente si componeva di fettuccine sugo e burro, abbacchio al forno e pesce fritto. Menù non proprio leggerissimo, ma a tal proposito Menghini scriveva: <<L’ampio suo stomaco sopporta i cibi più pesanti e li digerisce ottimamente, ed ha supremo disprezzo per la minestra in brodo e per tutti i manicaretti della cucina internazionale, che s’apprestano nelle trattorie di prim’ordine>>. Scopriamo un Carducci amante della cucina tradizionale romana, una cucina ricca, con sughi corposi e piatti robusti.
Il poeta amava particolarmente una trattoria a via dei Sabini, tovaglie di bucato, fiori sempre freschi sui tavoli, che a fine pranzo, erano offerti in dono agli ospiti. Prezzi bassi, cibo di qualità e un proprietario orgogliosissimo di avere come cliente “il Senatore”. Una volta, ricorda il fedele accompagnatore Menghini, per errore gli aveva dato del Commendatore, ma ne aveva avuto tali reprimende, che da allora era stato attentissimo a non ripetere l’errore.
Quando gli impegni dell’Assemblea del Senato gli lasciavano qualche momento di libertà, la meta preferita era Il Castello di Costantino. Locale delizioso anche per la sua ubicazione di fronte al Palatino con ai due lati le Terme di Caracalla e Monte Mario. A tavola erano sempre in tanti e tanti gli argomenti, ma mai confidenziali.

Quando il Carducci aveva voglia di fagioli alla fiorentina andava a mangiarli Al Grottino di via Nazionale facendosi accompagnare dal Ministro Ubaldino Peruzzi. Lì incontravano il Vamba, al secolo Giovanni Bertelli, l’autore di Gian Burrasca. Spesso si univano Luigi Vassallo il “papà” di Capitan Fracassa e l’irrequieto Cesare Pascarella, poeta e pittore. Si formava una rumorosa compagnia che spesso faceva lasciare il locale ai clienti in cerca di intimità. Ed è proprio Al Grottino e a quel pubblico, che Carducci aveva declamato in anteprima, prima che fossero date alle stampe, la poesia Jaufré Rudel e l’ode Scoglio di Quarto, dedicata alla spedizione dei Mille. Poi, ha scritto sempre Menghini, “prima che spuntassero le ore piccine”, interveniva Giuseppe Chiarini, l’amico del cuore, il vecchio compagno di scuola. Era sempre lui che, dopo aver assistito, in silenzio, un po’ in disparte, agli eccessi della serata, preoccupato per la salute di Goisue con ferma dolcezza lo faceva rincasare.
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