
All’inizio del XIV secolo, con un manoscritto rimasto anonimo, dal nome Libre de Sent Soví, viene codificata la cucina spagnola o più precisamente catalana. È stata quindi la Spagna la prima nazione dove vengono stabilite le norme che fissano l’ordine del servizio e il modo di comportarsi a tavola. Duecentoventi ricette in un ricettario che si apre con gli arrosti con i quali gli Spagnoli usavano dare inizio al pasto. A seguire la olla, che altro non era che carne stufata con l’aggiunta di spezie e verdure, poi le frittelle, le panades o pasticci, gli intermezzi, le uova, i cibi per gli infermi, i mangiari quaresimali e di magro. Nelle preparazioni si fa largo uso delle mandorle, mentre mancano quasi totalmente le spezie. Per la prima volta entrano in un ricettario le melanzane, alle quali sono dedicate tre ricette, con c’è traccia invece dei carciofi.
Libre de Sent Soví vede la luce mentre in Italia i tre regni meridionali di Napoli, Sicilia e Sardegna, lo Stato dei Presidi e il Ducato di Milano sono sotto il dominio spagnolo. Ed è proprio da questi territori che la nuova cucina spagnola si diffonde in tutta la Penisola. Consultando le opere di Bartolomeo Sacchi detto Plàtina e di Mastro Martino si noterà che sono spagnole la salsa saracinesca, la carabaza alla catalana, il brodo di mandorle per uomo delicato, il bianco mangiare catalano, il mirrause e le starne alla catalana.
Quindi possiamo dire che la nostra cultura gastronomica molto deve a quella ispano-arabica, sia per la creatività, sia per le scelte tematiche che per le precise indicazioni culinarie.
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