Oggi 17 gennaio 2016 il Calendario del Cibo Italiano con Rita Mezzini del blog La Fucina Culinaria come Ambasciatrice festeggia la Zuppa inglese, ed io per questo piatto ho chiesto la partecipazione di Enrica Lozzi che, per deformazione professionale, quando cucina “scopiazza” ricette da antichi testi, opere uniche al mondo che solo noi italiani abbiamo il privilegio di possedere.
Sono Enrica Lozzi e sono molti anni che dedico il mio lavoro alla cura, lo studio e la ricerca sui fondi antichi della Biblioteca Alessandrina, a quelle piccole e grandi edizioni che rappresentano il sapere dell’umanità che lo raccontano e molte volte ci stupiscono disvelando ai nostri occhi delle certezze che credevamo fossero il raggiungimento di una nostra sfida ma che in realtà sono soltanto la conclusione di un cammino già avviato molto e molto tempo prima. In questo fantastico mondo sono abituata a volare con magiche ali attraverso qualsiasi argomento dalle scienze alla letteratura, dall’alchimia ai conviti, dalla filosofia alla cucina … ed è qui che le due strade si intersecano tessendo un’insolita tela tra la maestria dei cuochi di corte e la mia fantasia ribelle e curiosa.
Il primo a codificare la Zuppa inglese è stato Pellegrino Artusi.
Il manuale di cucina di Pellegrino Artusi è ancora oggi molto valido, ricco di ricette e notizie curiose, con uno stile brillante e conviviale, sicuramente non ultimo a molti libri di cucina dei nostri tempi. Un’eccellente guida pratica all’arte della cucina ma anche un’apprezzata opera di letteratura che merita, sicuramente, un posto speciale nella vostra biblioteca.
Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene …”
Firenze, Pei tipi di Salvatore Landi, 1891
ricetta n. 675
Dice l’Artusi : “… eccovi le dosi della crema pasticcera, così chiamata dai cuochi per distinguerla da quella fatta senza farina.
Latte, decilitri 5.
Zucchero, grammi 85.
Farina o, meglio, amido in polvere, grammi 40.
Rossi d’uovo, N. 4.
Odore di vaniglia.
Lavorate prima lo zucchero coi rossi d’uovo, aggiungete la farina e per ultimo il latte a poco per volta. Potete metterla a fuoco ardente girando il mestolo di continuo; ma quando la vedrete fumare coprite la brace con una palettata di cenere o ritirate la cazzeruola sull’angolo del fornello se non volete che si formino bozzoli. Quando s’è già ristretta continuate a tenerla sul fuoco otto o dieci minuti e poi lasciatela diacciare.
Prendete una forma scannellata, ungetela bene con burro freddo e cominciate a riempirla nel seguente modo: se avete una buona conserva di frutta, come sarebbe di albicocche, di pesche od anche di cotogne, gettate questa, per la prima, in fondo alla forma e poi uno strato di crema ed uno di savoiardi intinti in un rosolio bianco. Se, per esempio le scannellature della forma fossero diciotto, intingete nove savoiardi nell’alkermes e nove nel rosolio bianco e con i medesimi riempite i vuoti, alternandoli. Versate dell’altra crema e sovrapponete alla medesima degli altri savoiardi intinti nel rosolio e ripetete l’operazione fino a riempire lo stampo.
I savoiardi badate di non inzupparli troppo nel rosolio perché lo rigetterebbero; se il liquore fosse troppo dolce, correggetelo col rhum o con lo cognac. Se il tempo avesse indurita la conserva di frutta (della quale in questo dolce si può fare anche a meno), rammorbidetela al fuoco con qualche cucchiaiata di acqua, ma nello stampo versatela diaccia. Questa dose può bastare per sette od otto persone.
Nell’estate potete tenerla nel ghiaccio e per isformarla immergete per un momento lo stampo nell’acqua onde il burro si sciolga.
Saranno sufficienti grammi 120 a 130 di savoiardi.
L’alchèrmes è un liquore, probabilmente di origine araba, molto usato per dolci e preparazioni a base di alcool etilico, zucchero, cannella, cocciniglia, chiodi di garofano, cardamomo. È noto quello prodotto a Firenze dai frati di Santa Maria Novella definito all’epoca “Elisir di lunga vita” ma era anche il liquore preferito dalla famiglia Medici, soprattutto da Caterina figlia di Lorenzo, che lo introdusse in Francia dopo il matrimonio con Enrico II d’Orléans dove divenne, insieme ad altri cibi e dolci, noto come il “liquore dei Medici”
Gioacchiono Taddei
“Farmacopea generale … del dottore Gioacchino Taddei …”
volume III
Firenze, Tipografia di Luigi Pezzati, 1826
Liquori alcoolici aromo zuccherini
Questi composti, destinati più a servire al lusso delle mense che ai bisogni della medicina, sono designati col nome ratafia se sono colorati dal sugo di qualche frutto; o con quello anche più comune e generico di rosolio (nome enfatico che significa rugiada di sole) se sono incolori e più o meno limpidi … si distinguono tre specie di rosolj a seconda dei processi usati per comporgli: 1° rosolj per semplice infusione o macerazione; 2° per macerazione e distillazione; 3° per fermentazione e distillazione …”
Rosolio di cannella.= Acqua spiritosa o alcolato di cannella = sciroppo di zucchero parti eguali in peso. = Si mescolano mediante l’agitazione dei due liquidi. In siffatto modo pure si preparano i Rosolj di menta, di cedrato, di macis (1), d’angelica, e di tante altre droghe …
(1) i liquoristi danno a questo rosolio il nome di perfetto amore quando è colorato debolmente in rosso con la cocciniglia …
Raccogliete in una bella giornata di primavera 30 g di petali di rose profumate, lavateli bene e asciugateli con delicatezza.
Al giorno d’oggi non ha più la gloria di un tempo, ma continua ad essere usato per ingentilire e rallegrare creme e torte.
Le sue origini sono ancora avvolte nel mistero e molte città italiane ne rivendicano l’invenzione. La zuppa inglese è molto antica simile al tiramisù dolce e golosa. È una combinazione di strati di savoiardi o pan di Spagna imbevuti nell’Alchermes o nel rosolio che si alternano alla crema pasticcera.
In Romagna dicono …si fa da sempre è il dolce delle feste che tutte le nonne preparano ai nipoti.
Altri pensano che sia stato un cuoco italiano al servizio di un viaggiatore inglese che, con abile maestria e astuta intraprendenza, riuscì a rivisitare un dolce inglese molto semplice fatto con pasta lievitata intinta nel vino e condita con panna e briciole di biscotto.
Leo Codacci infine in “Civiltà della tavola contadina” attribuisce l’invenzione ad una cuoca toscana al servizio di una famiglia inglese residente sulle colline di Fiesole, le sue origini contadine e l’insegnamento della povertà a riciclare ogni avanzo spinsero la donna ad utilizzare la biscotteria secca rimasta dopo aver servito il tè. La inzuppò con vino dolce, la mescolò con crema pasticcera e budino al cioccolato e la servì come un dolce nuovo e prelibato.
Ma, sia come sia, verità o leggenda nessuno può negare alla zuppa inglese l’onore d’essere un dolce al cucchiaio raffinato e ricercato, gustoso e delicato e senza ombra di dubbio di facile preparazione. Una semplice armonia che, lascia ampio spazio alla creatività, l’estro e la fantasia di chi, con straordinaria abilità accorda gli ingredienti come fossero note musicali pronte a rallegrare lo spirito gli occhi e il palato.
Amo tanto l’Artusi … E mi hai messo di nuovo voglia di andare a sfogliare l’edizione del 1918 della zia di mia madre che custodisco nella mia libreria in cucina….. Ciao Flavia
Grazie Flavia, visti i tuoi studi non potevi non conservare una copia tanto preziosa.
Eccola, semplice, antica, confortante. E come la vuole l’Artusi, che alla fine, ha sempre ragione.
Grazie mille Gabriella!
Pat
Grazie mille per il tuo interessantissimo articolo.
E’ interessante vedere come ognuna di noi ha affrontato il tema sulla “Zuppa inglese”!
Rita
Che bello quseto articolo, grazie per averlo condiviso con noi!
Ciao Gabriella! Grazie delle informazioni, sempre preziose e utilissime per capire l’anima dei nostri piatti. Senza storia non c’è ricetta che possa essere apprezzata davvero. A presto, Giovanna