
È l’estate del 2011, fa molto caldo, siamo in Irpinia. Dopo un lungo peregrinare per oliveti decido una deviazione per Bonito per andare a salutare l’anziano fratello della prozia Beatrice, Vittorio Maria, storico, gastronomo e fine oratore. Nel suo salotto, tra una fetta di torta alle nocciole e un profumato caffè nero come la pece, ecco il racconto della Mummia di Zì Vicienzo.
Nel 1804, Napoleone, con l’editto di Saint-Cloud, aveva stabilito che per motivi igienico-sanitari, le tombe fossero poste fuori dalle città. Con la nascita del Cristianesimo erano stati creati i primi cimiteri urbani, poi le catacombe e anche le sepolture nelle Chiese. Era così iniziato ovunque il dissotterramento delle tombe e la ricollocazione fuori città.
A Bonito, piccolo paese, l’operazione aveva avuto inizio con quarantacinque anni di ritardo. Scavando sotto la Chiesa dell’Oratorio, tra teschi e ossa, era stato rinvenuto un uomo mummificato, nudo, seduto con in testa un berretto. Il ritrovamento aveva sconvolto il paese che subito gli aveva dato una connotazione miracolosa. A qualche abitante era apparso in sogno e aveva dichiarato di chiamarsi Vincenzo Camuso. La suggestione aveva raggiunto l’apice quando la mummia, seduta su una sedia di paglia, era stata portata in processione per le vie del paese.
Oggi Vincenzo Camuso è chiuso in una teca trasparente e per gli abitanti di Bonito è un dispensatore di grazie, insomma un santo da invocare per ogni necessità o patimento. La Chiesa tace, non si pronuncia in alcun modo. Di lui non si sa nulla, ma le voci sono tante. Forse era un chirurgo, forse un calzolaio, ma c’è chi sostiene che fosse un monaco. In realtà, Zì Vicienzo, come amano chiamarlo gli abitanti di Bonito, doveva essere un appartenente alla Confraternita della Buona Morte. Forse proprio per questo era stato sepolto nella Chiesa dell’Oratorio, che essa gestiva. Il carattere di Zì Vicienzo è pessimo, infatti suole apparire in sogno e prendere a bastonate chi osa dubitare o parlare male di lui. Lo sa bene una pia donna che aveva osato coprirlo. La poveretta, dopo una notte terrificante, era corsa a scoprirlo, promettendo solennemente di non farlo più. Lo Zio ormai è conosciuto in tutto il mondo e riceve visite continue con richieste di miracoli e prodigi attorniato dai suoi ex voto. Io invece, terminato il racconto di Vittorio Maria, divertita, ma anche intimorita, senza fargli visita, lascio Bonito. Preferisco non vedere, preferisco non farmi vedere, preferisco lasciar riposare chi in pace riposa. Parto portando con me il ricordo di una morbida e burrosa torta di cioccolato, nocciole e limone.

Ingredienti
Burro g 150
Zucchero g 150
vaniglia 1 bacca
Miele di limone g 20
Tuorli g 80
Cacao amaro g 15
Nocciole tostate in polvere g 150
Farina 00 W 200-220 g 20
Lievito in polvere g 8
Cioccolato fondente al 70% in granella g 200
Marmellata di limone g 20
Zucchero g 10
Albume g 100

Nella planetaria montate il burro, lo zucchero e il miele. Unite la bacca di vaniglia. Aggiungete i tuorli continuando a montare. Miscelate insieme il cacao, le nocciole, la farina e il lievito precedentemente setacciati. Unite le polveri alla massa montata mescolando delicatamente. Aggiungete il cioccolato in granella e la marmellata di limone. Montate a neve fermissima gli albumi con lo zucchero. Uniteli al composto. Traferitelo in una tortiera imburrata e infarinata. Cuocete per 45 minuti in un forno statico alla temperatura di 180 °C, se il forno è ventilato alla temperatura di 160 °C, in presenza di umidità, lasciando la valvola o il portello di carico chiusi.
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