
La prima grande guerra era appena terminata e nel Veneto, in alta Lessinia, si tornava lentamente alla vita di sempre. Una vita tranquilla, monotona e povera, inevitabilmente influenzata da un clima che in montagna regala inverni lunghi e freddi ed estati calde e secche. Timidamente si pensava al futuro e nascevano nuovi amori.
Nelle case contadine l’infanzia era breve, tutto restava immutato di generazione in generazione perché “el fiol camina su le peste del pare”. I bambini, molto presto, “secondo le so forze” venivano avviati al lavoro nella stalla e nei campi. Le bambine aiutavano nei lavori di casa e si occupavano di accudire i fratelli più piccoli. Si dedicavano anche alla cucina, frettolosa e ripetitiva a causa della povertà degli ingredienti che si potevano reperire. Si mangiava soprattutto tanta polenta brustolà, sia la sera, che a colazione la mattina con il latte appena munto. Poi c’era la preparazione del corredo, che aveva inizio verso i dieci anni, e allora il “ponciar e uciar” si alternavano alle faccende domestiche.
Dopo il servizio militare ogni ragazzo inevitabilmente cominciava a pensare di “meter su fameia”. Scelta la ragazza il rituale era rigido e sempre lo stesso: domandar en casa, farse novizi, sposarse, verghe fioi.

Prima di essere accolto in casa come “moroso” il ragazzo doveva impegnarsi in un lungo corteggiamento. Solitamente durava un anno e durante questo periodo i due giovani dovevano accontentarsi di incontrarsi per strada la domenica o nella stalla durante il filò comune. Poi, finalmente, arrivava il momento di chiedere il consenso e allora il giovane, magari pagando “un biccer” all’osteria faceva al futuro suocero la domanda di rito: “Saresse contento che ghe parla a vostra fiola?”. Il consenso era quasi scontato e sempre accompagnato dalla raccomandazione: “Feo pulito, avì giudissio”.
Da quel momento il filò, che avrebbe portato al matrimonio, poteva essere praticato solo in casa della ragazza, perché solo le “sbrindole” frequentano la casa del “moroso”. In casa sì, ma sempre sotto il ferreo controllo della mamma della giovane fidanzata che mai lasciava soli i due ragazzi. Vegliava preoccupata dalle conseguenze della mancata vigilanza, ma anche dagli ammonimenti del prete che minacciava di non concedere l’assoluzione ai genitori distratti.
La prima volta in casa, di quello che veniva detto il “discorrer”, era un momento solenne, suggellato, come sempre accade, da un dolce. Una torta semplice, preparata dalla giovane fidanzata, fatta con gli ingredienti reperibili nell’orto e nei prati di proprietà della famiglia.
Le carote dolci e speziate, il rabarbaro fruttato e fiorito, la cannella calda, piccante e dolciastra, noci e nocciole burrose e astringenti. Tanti sapori secondo una consuetudine antica tramandata di madre in figlia sognando una vita tanto, tanto felice.

Ingredienti
- Rabarbaro g 100
- Zucchero semolato g 10
- Carote g 200
- Limone succo 2 cucchiai
- Uova 4
- Zucchero semolato g 150
- Noci g 100
- Nocciole g 100
- Cannella mezzo cucchiaino
- Farina 0 g 100
- Sale 1 pizzico
- Lievito g 8

Procedimento
Mondate il rabarbaro eliminando le foglie. Pelate i gambi, tagliateli a pezzetti, unite lo zucchero e mescolate. Metteteli a scolare per 2 ore. Terminato il tempo di riposo frullateli.
Spuntate e pelate le carote. Grattugiatele e bagnatele con qualche goccia di succo di limone perché non anneriscano. Nella planetaria montate i tuorli con lo zucchero finchè non saranno bianchi e spumosi. Frullate le noci e le nocciole poi unitele alla massa montata. Aggiungete le carote e il rabarbaro e amalgamate. Setacciate insieme la farina, la cannella e il lievito unite poi il tutto al composto. Aggiungete il sale. Montate a neve fermissima gli albumi amalgamateli alla preparazione mescolando con delicatezza. Imburrate uno stampo e versatevi il composto.
Cuocete la torta nel forno statico alla temperatura di 190 °C, nel forno ventilato alla temperatura di 155 °C per 40 minuti. A cottura ultimata sfornate e spolverate di zucchero a velo.
Dev’esser buona io non l’ho mai mangiata.
I signori nella foto credo di averli conosciuti anche se erano più “grandi” Li ricordo con affetto.
Grazie Ivo. Anche loro avevano tanta simpatia per te e per tutti i tuoi cari che consideravano parte della famiglia. In particolare tua mamma che d’estate faceva tanta compagnia alla nonna.