Oggi conosciamo Paolo Abballe, il sommelier del ristorante Metamorfosi, il regno dello chef Roy Caceres. Un piacevole incontro in un pomeriggio di mezza estate nel quartiere Parioli, il “salotto aristocratico” della Capitale.
Paolo ci ha raccontato la cucina di Metamorfosi, l’atmosfera lieve e gioiosa delle prime ore del mattino, la concentrazione e l’impegno durante la preparazione dei piatti, la fucina di idee che essa diviene quando gli Chef creano sapori. Ma soprattutto ci ha raccontato il mondo del vino, ci ha portato idealmente nelle buie e fresche cantine dove il vino dorme in attesa di essere spillato. Ci ha raccontato la gente che lavora per e con il vino lontano dai riflettori che oggi illuminano la cucina. Ma soprattutto ci ha raccontato poeticamente i colori del vino emozionandoci, lo ha fatto con equilibrio ed eleganza perché Paolo è una persona “speciale” che vi invito ad andare a conoscere.
Foto di Enrica Lozzi
Quando si è innamorato del vino e di conseguenza qual è stata la sua formazione?
La mia è stata una formazione classica, ho frequentato la scuola alberghiera, il 1° I.PS.A.R. qui a Roma, ed è stato proprio in quegli anni che ho “incontrato” il vino per la prima volta e me ne sono innamorato. Tutto è accaduto durante un corso organizzato dalla Regione Lazio, tenuto all’interno della scuola da un sommelier dell’A.I.S.. Conseguito il diploma però il vino ho dovuto in qualche modo abbandonarlo per assecondare il desiderio dei miei genitori che avevano voluto che mi iscrivessi all’università. Dopo qualche tempo però, compreso che non era quello che volevo fare veramente, mi sono iscritto a un corso dell’ Associazione Italiana Sommelier e sono entrato nel mondo del vino.
Quali sono state le sue esperienze lavorative più importanti?
Come sempre accade, il primo lavoro quando, per un anno, mi sono occupato della gestione della Cantina del Circolo Canottieri Remo. Poi da Trimani dove sono rimasto per tre anni lavorando nel wine bar. Una scuola più che un lavoro, con a disposizione una carta dei vini illimitata, ma soprattutto per l’incontro di persone che conoscono il vino nel profondo e amano condividere le loro conoscenze. Poi Metamorfosi, dove lavoro ormai da sei anni.
Qual è stata la prima cantina che ha visitato e quali sono state le sue sensazioni?
Una cantina che ha tanta storia, Querciabella, nel borgo medievale di Greve in Chianti, a quel tempo collaboravo con Trimani. E’ stata una bellissima esperienza per l’importanza dell’Azienda, la prima a convertirsi alla viticoltura biodinamica in Toscana, la prima a unire al Chianti del Cabernet Sauvignon. Famosa anche per il Batàr, il suo bianco di punta, un bland tra Chardonnay e Pinot blanc, uno dei più grandi vini italiani per struttura ed eleganza.
L’emozione più grande però posso dire di averla provata durante una visita in Bassa Vallagarina nella cantina San Leonardo. Per spiegarne il motivo dobbiamo tornare indietro nel tempo a quando frequentavo il corso all’A.I.S. . Quando sei giovane ti lasci affascinare dai grandi nomi, e durante una degustazione alla cieca in sei bicchieri mi ero soffermato su due vini, di essi uno mi era piaciuto in modo particolare tanto da crederlo il famoso Sassicaia, per poi scoprire in seguito essere un San Leonardo. Oggi per spiegare ciò che mi lega a questo vino posso solo dire che ho tre bambini e a ogni nascita ho aperto un San Leonardo diverso. Quindi entrare in quella cantina, farlo con la mia famiglia, essere accolto dal marchese Carlo Guerrieri Gonzaga con gentilezza e simpatia è stato un momento che ricorderò sempre. Il vino per me è questo…
Il vino in tre colori?
Io direi verde, arancio e rosso. Verde in bocca vuol dire molto fresco, molta acidità e che il vino è giovane. Arancio perché mi piacciono le macerazioni sulle bucce che, soprattutto sui bianchi portano a una colorazione dorata. L’evoluzione del dorato come colore è l’aranciato. Rosso quando un vino rosso, vecchio, importante vede l’unghia del bicchiere scarica e ha quasi un colore granato.
Qual è la zona vinicola che ama di più?
Ambonnay nella regione della Champagne-Ardenne, dove la Signora del Pinot Nero, Marie-Noelle Ledru produce uno champagne fatto solo di Pinot Nero. Io sono un bianchista e questo vino lo porterei sempre con me.
Un’annata storica probabilmente irripetibile?
Credo non esista un’annata storica in assoluto. Il vino cambia a seconda della zona di produzione. Io però direi Haut-Brion ’89, un Bordeaux, uno dei vini più prestigiosi al mondo. Il vino è per me anche e soprattutto ricordo, quando lavoravo al ristorante Al Presidente, della famiglia Allegrini, il figlio Sebastiano, grande conoscitore di vini, oggi anche fine ceramista, ci aveva invitato, terminato il lavoro, a una “folle” degustazione alla cieca, ed è così che l’ho “incontrato” per la prima volta.
Il produttore che più le piace?
Tenuta San Leonardo, un grande produttore di rossi.
Racconta il vino ai suoi clienti?
Sempre! E’ la cosa che amo di più del mio lavoro. Questa è una professione che impegna molte ore al giorno, se non si riesce a raccontare la propria passione si perde un po’ il senso di quello che si sta facendo.
Come si fa a capire qual è il vino giusto per un cliente?
Dopo il benvenuto iniziale bisogna cercare di entrare in empatia con l’ospite. Si deve cercare di scoprire qual è la sfumatura della serata che egli vuole vivere. Se ha scelto questo locale soprattutto per il cibo o perché ama molto il vino e ricerca delle bottiglie particolari. Se conosce già i nostri vini o desidera che le vengano raccontati, se ricerca nuovi abbinamenti. E’ bello aprire anche solo una bottiglia, vedere la sua evoluzione su tutti i piatti scelti dall’ospite. Ma poi ogni sera la sala diviene un teatro ed è sempre diversa…
Come sceglie i vini per la cantina di Metamorfosi?
Li scelgo in collaborazione con lo Chef. Roy Caceres segue le stagioni culinarie, ma qui da Metamorfosi si attua uno studio continuo e una ricerca di nuovi abbinamenti e nuovi sapori. I piatti nascono così, senza alcuna programmazione, e poi inizia il mio lavoro, la ricerca dell’armonia, scegliendo un abbinamento che si basi sulla contrapposizione o sulla concordanza, giocando anche sul colore del vino e del cibo.
Un vino difficile da proporre?
Nel menù di Metamorfosi tempo fa era presente un piatto molto particolare: Spaghetti mosciarelli, polvere e profumo di mare. Gli spaghetti venivano prima mantecati con una crema d’ostrica, poi erano completati con una polvere di cozze disidratate e il tutto era accompagnato da una foglia di erba ostrica per evocare il profumo e il “sapore” del mare. Il vino che proponevo era un Moscato di Terracina DOC Secco Oppidum e ho sempre trovato una certa diffidenza.
Un abbinamento che sembrava difficile, ma poi è riuscito?
Lo Chef proponeva: Tagliolini al crù di caffè Blue Mountain, mantecati con burro e parmigiano, completati con del tartufo. Difficile abbinare un vino a questi sapori. Dopo una lunga ricerca in cantina la mia scelta è caduta su Castello di Ama Chianti Classico, 2006, credo sia stato il miglior abbinamento che io abbia mai fatto.
Un abbinamento inaspettato?
Nel menù di Metamorfosi c’è un piatto che io ritengo assolutamente unico. Un’anguilla di Comacchio cotta sulla brace in sospensione su due aste che lo Chef si è fatto creare appositamente per questa preparazione. La cottura è lenta, di 50 minuti, mentre il fumo sale l’anguilla viene glassata con una salsa tare a base di zucchero e sakè per dare al piatto un gusto caramellato. A base del piatto del farro franto, in accompagnamento delle cipolle rosse arrosto con del pepe verde giapponese, il Sancho. Su una pietra gelata un sorbetto di carpione, una marinatura piemontese con aceto di vino rosso e cipolle. Ho pensato ad un abbinamento in concordanza anche per la presenza del farro, per la parte caramellata del piatto e ho scelto una birra rossa perché vi fosse acidità ma non troppo alcool. A volte è difficile pensare che non esiste solo il vino.
Via da Metamorfosi per una sera, dove le piacerebbe lavorare?
Così di getto mi verrebbe da dire Osteria Francescana, Giuseppe Palmieri, a Modena. In realtà vorrei entrare nella cantina dell’Enoteca Pinchiorri, un luogo unico dove sono conservate le 4000 etichette che Giorgio Pinchiorri ha raccolto in 50 anni di continua ricerca. Io credo che il vino si impara a conoscerlo anche mettendolo in ordine, così si scopre la zona di produzione, la regione, l’annata, non si pensa più all’etichetta, ma si riconoscono la capsula e la bottiglia. Questo sarebbe il mio sogno.
Per una serata romantica che vino sceglierebbe?
Questa è la prima domanda che mi è stata fatta da Paolo Trimani quando ho cominciato a collaborare con lui, a quel tempo ho risposto Tenuta San Leonardo, oggi direi Champagne.
La professione del Sommelier è una delle tante professioni che impegna inevitabilmente per molte ore al giorno, vuole raccontarci la donna che le vive accanto?
E’ una donna intelligente e speciale che comprende e mi sostiene, ma soprattutto che, in questo mio momento di crescita professionale, ha rinunciato a una sua realizzazione personale. Inoltre, io non abito accanto al ristorante e noi abbiamo tre bambini, quindi, non mi stancherò mai di dirle grazie.
Un suo riferimento nel mondo del vino?
Forse sarebbe banale citare sempre gli stessi nomi come Marco Reitano, Alessandro Pipero o Giuseppe Palmieri, forse uno dei più grandi nel mondo del vino. Io amo sfogliare le carte dei vini, vedere quali scelte sono state fatte, un po’ come quando si guarda il menù di uno Chef. Inoltre nel mondo del vino ci sono persone poco note, ma non meno importanti, come Roberto Mangione, che nella sua salsamenteria, che è un buchetto, ha più di trecento etichette di Champagne e soprattutto ha una cultura del vino sconfinata. Avere il piacere di conversare con lui a me dà tanto. Parlare del vino come si parlasse di un amico, nella vita puoi bere ciò che vuoi, basta solo farlo con piacevolezza.
Sommeliers e produttori esiste collaborazione?
Assolutamente si, quasi ogni giorno incontro produttori desiderosi di presentare e raccontare il frutto del loro lavoro. Questo è un ristorante molto ambito, e soprattutto i piccoli hanno la curiosità di vedere dove
Vanno i loro vini e conoscere il gradimento dei nostri ospiti.
Perché nei ristoranti italiani ci sono ancora così pochi sommelier?
I sommeliers non sono tantissimi forse perché oggi i riflettori della comunicazione illuminano soprattutto la cucina penalizzando in qualche modo la sala. Quello del sommelier, il cameriere del vino, è un lavoro impegnativo. Un buon sommelier deve essere comunicativo, la sua presenza deve essere costante ma non invadente, deve conoscere più lingue, deve essere disponibile a lavorare quando tutti riposano, e deve avere una famiglia che accetti tutto questo. Non tutti sono disponibili a svolgere questa professione.
Ora due domande particolari.
Barak e Michelle Obama, in visita a Roma, probabilmente per l’ultima volta come Presidente e First Lady, come sempre accade soggiornano a Villa Taverna, gli addetti al cerimoniale le chiedono una bottiglia di vino da mettere nella loro stanza, cosa sceglierebbe?
Sono una coppia pop e per me il pop si lega alle bollicine. Amano la musica blues e jazz, credo che chi ascolta ottima musica ami i vini rossi e lo champagne. Sono in Italia e io sceglierei per loro Vigna Madonna Assunta La Villa 1999, di Rocche dei Manzoni, la prima annata, un Barolo.
Lei è Romano, una bottiglia di vino che rappresenti la Città Eterna e i Romani da “sette generazioni”?
Il Romano è una persona accogliente, ma schietta allo stesso tempo e anche rustica. Quindi per il Romano verace avrei due proposte: Bolgheri, Paleo, Le Macchiole, un cabernet franc che ha una parte vegetale, ma anche nello stesso tempo morbidezza. Oppure, se vogliamo scegliere un vino bianco direi L’Angelica di Rocche dei Manzoni ,uno chardonnay in purezza, un vino tondo però schietto che ha la sua personalità.
Un sogno nel cassetto?
Avere una mia enoteca di sola degustazione, un mio mondo dove raccontare il vino e la storia di coloro che sono dietro a ogni bottiglia.
conosco Paolo in quanto ex collega , anzi era un mio collaboratore in sala presso il Wine bar Trimani, io ora sono un rappresentante e conoscendo Paolo molto bene posso dire che il suo racconto è sincero , una persona con una umiltà e disponibilità importanti , senza ombra di dubbio merita di raggiungere la vetta, passo dopo passo..