Foto di Enrica Lozzi
Oggi, a Storie di vino, Mariana Alverdi, una sommelier.
La sommelier dell’Osteria L’Altro Ballerino.
Mariana, competente, capace, profonda conoscitrice del mondo del vino.
Mariana, moglie innamorata e orgogliosa di un famoso Chef stellato, che dice con una punta di rammarico: << Ci vediamo poco in questo momento, io e Andrea, ma passerà, sta raccogliendo i frutti di anni di duro lavoro >>.
Mariana, tenera mamma di Lorenzo, che dice serena: <<Abbiamo scelto di non avere una Tata, io oggi lavoro qualche ora di meno >>.
Bella Mariana, un sorriso dolce, una raffinatezza aristocratica, un cuore grande.
Quando ha iniziato a fare la sommelier e qual è stata la sua formazione ?
Ho iniziato a fare i primi passi con l’apertura del ristorante, con il passare del tempo ho imparato a proporre il vino, a selezionare ciò che piaceva a me e ciò che piaceva alla mia clientela. Poi, dieci anni fa, ho compreso che nonostante avessi tanto assaggiato, nonostante avessi una cantina importante, nonostante riuscissi a guidare il cliente verso un percorso di abbinamento, avevo delle lacune e così mi sono iscritta all’AIS.
Il primo vino del quale si è innamorata ?
Il primo amore è stato l’Amarone. L’ho scoperto subito. Un vino avvolgente, possente, molto corposo, difficile da abbinare, soprattutto con la cucina di mio marito. Un vino che non passa inosservato, ma che ora non riesco più a bere. Nella vita si cresce, si cambia, si scoprono altre realtà… A lui devo il mio inizio.
Qual è stata la prima cantina che ha visitato e quali sono state le sue sensazioni ?
Non ricordo, anche perché all’inizio non sapevamo quanto fosse importante visitare le cantine.
Vedere interi campi coltivati a vigna, essere guidati dai proprietari, ascoltare come e perché avevano scelto quella collina invece di un’altra che a occhio inesperto apparivano uguali. Capire gli sforzi e le difficoltà. Comprendere che il vino è un obiettivo e non solo ciò che la natura può offrire. Comprendere che il vino non è solo frutto della terra ma, soprattutto, lavoro dell’uomo.
Dopo aver visitato le prime cantine, il mio atteggiamento nei confronti della bottiglia è cambiato radicalmente: grande umiltà, bisogno indispensabile di conoscere il suo contenuto, non solo assaggiando ma anche documentandomi, insomma sapere, sapere e sapere, per valorizzare il lavoro di un anno di tante persone.
Le prime sensazioni ? Da straniera mi sono sentita come davanti al Colosseo, piccola davanti a cotanto lavoro maestoso.
Il vino in tre parole ?
D’istinto direi: piacere, piacere e piacere.
Razionalmente: lavoro, determinazione e pazienza.
La zona vinicola che ama di più ?
Sicuramente Barolo, con il suo splendido vitigno Nebbiolo. Per i bianchi invece, la Mosella tedesca e la Loira francese.
Il produttore che ama di più ?
Non amo un produttore in particolare. Ho degli amici tra i produttori, ma è come avere un cantante o un cantautore preferito, non tutto ciò che canta o compone ci piace, e così è per il vino.
Non ho un particolare produttore che mi soddisfa pienamente, ma delle bottiglie di diversi produttori, che però fanno anche delle etichette che non mi piacciono per niente.
Esistono invece delle zone vitivinicole particolarmente fortunate direi. Come il Friuli dove, alcuni privati, uniti da una profonda solidarietà culturale, si aiutano a vicenda costantemente.
Questo miracolo, che qui nel Lazio sarebbe impensabile, crea una grande forza a livello imprenditoriale e un senso di comunità che ritengo invidiabile. Oppure l’Alto Adige, che ha creato delle cooperative che da sole e dal basso si sono imposte dei livelli qualitativi portando sul mercato vini con un rapporto qualità prezzo insuperabile.
Un vino ingiustamente non valorizzato ?
Sicuramente il vino dolce italiano. Quando ad un cliente si propone un vino dolce la risposta è solitamente: << Si grazie, un buon passito di Pantelleria >>. E’ un vino buonissimo, ma quanto è grande Pantelleria ? E’ possibile che non si conoscano altre zone ? L’Italia produce splendidi vini che possono accompagnare i dolci ma, purtroppo, solo gli addetti del settore hanno la fortuna di conoscerli.
Un’annata storica difficilmente ripetibile ?
Nel 2006, un caricante dell’Etna del 1996, Pietramarina di Benati. Un miracolo!
Con sentori di riesling tedesco, molto minerale, molto equilibrato e fresco, maturo ma con un’acidità da vino imbottigliato un anno prima. Era un’annata fortunata ed io ero fortunata. Ne ho ordinato altre otto casse che ho in parte regalato e in parte venduto come fosse acqua. Ho provato altre annate precedenti o in corso. Ho cercato, negli anni seguenti, di ritrovare anche solo un lontano ricordo di ciò che avevo provato con il 1996. Ho cercato di capire se le annate successive sarebbero potute diventare anche solo un riflesso di quell’annata fortunata, ma niente… ho abbandonato l’Azienda dopo sei anni.
Un suo riferimento nel mondo del vino ?
Ho avuto tre maestri.
Mio marito. Chi sa cucinare sa anche bere ? Non è detto, ma mio marito ne sa “maledettamente” una più del diavolo. E’ stato lui a guidarmi quando ho iniziato a fare i primi passi, ancora oggi a lui chiedo consiglio quando mi sento incerta.
Un mio dipendente. Non farò il suo nome, mi dispiace, ha scelto la cucina e penso che se per lui va bene così, va bene anche per me. E’ una persona che ha dedicato la sua vita e la sua entusiasmante giovinezza al vino. Devo a lui una visione più allargata, più “planetaria” del vino. Devo a lui molte “dritte” sul servizio di sala. Se ho dell’eleganza nel fare la sommelière e la cameriera è merito suo.
Claudia Ferrero, socia fondatrice dell’AIS. Una donna innamorata della vita, del vino, della buona tavola. Ricordo che una volta, a fine serata, ci presentò un amico e collega con una Magnum, da giovani eravamo soliti rimanere a chiacchierare e bere, a spiluccare salumi e formaggi per rilassarci, ricordo che Claudia è partita da Napoleone per raccontarci l’etichetta !
Esiste il maschilismo nel mondo del vino ?
Nel mondo del vino la donna è presente in ogni fase e in ogni mestiere. Piuttosto credo che esista il maschilismo, che si capillarizza ovunque, anche dove la donna si è guadagnata una posizione, e allora magari la si paga meno, non la si aiuta quando rimane incinta o peggio dopo il parto. Ma forse dovrebbe esserci un intervento statale per rendere uguali le tutele nel pubblico e nel privato.
Come si fa a capire qual è il vino giusto per un cliente ?
Io uso il termine “filosofia spicciola”. Ogni tavolo è un mondo a sé, il primo approccio è determinante. Il sorriso è d’obbligo anche se si è contorti dai crampi. Il sorriso fa sentire benvenuti, trasmette la sensazione che tutto va bene, che il mondo è sereno. Poi bisogna capire che cosa è stato ordinato e si va al tavolo rigorosamente con in mano la carta del vino. Si fanno poche e brevi domande e dalle risposte si deve capire tutto. Sono segnali chiari e bisogna interpretarli al volo. Il cliente più soddisfacente è quello curioso, che vuole essere guidato, ma vuole sapere il perché. Il cliente meno soddisfacente è colui che arriva arrabbiato e non sa quel che vuole.
Usa raccontare il vino ai suoi clienti ?
Sempre. Ogni volta che il cliente me lo permette. E’ la parte che amo di più del mio lavoro: cercare di esprimere in parole delle sensazioni tattili, senza dare giudizi.
Mi racconti la cantina del suo ristorante.
Il ristorante è nato, cresciuto, maturato insieme alla cantina con il mio apporto personale.
Ci sono i miei champagne preferiti, il prosecco che si vende, un numero di sauvignon un po’ eccessivo, troppi barolo. Ma non faccio mai mancare ai miei clienti ciò che desiderano trovare.
Si mangia e si beve anche con la memoria, un suo ricordo legato al vino e alla sua terra l’Argentina ?
La cucina argentina è molto povera, e si suol dire che se non si mangia carne non si è mangiato.
Nonostante questi luoghi comuni ci sono delle realtà affascinanti come Salta. E’ situata nel nord-est, confina con l’altopiano boliviano, è una regione secca, con clima fresco grazie all’altitudine, sembra di essere sull’Etna, ottima per i bianchi.
Con Andrea, in un viaggio alla scoperta della viticoltura del mio Paese, siamo arrivati in una delle poche cantine di questa regione dimenticata, tra le più povere dell’Argentina. Il viaggio è stato lungo e pieno di scoperte. Ristoranti con i tetti di paglia senza fognature e senza corrente elettrica. Lo rifarei anche domani. Questo produttore, per fare la vendemmia, apriva la sua cantina ai visitatori e faceva una specie di festa che durava quanto la vendemmia. Questa è una delle realtà di quel viaggio durato un mese. Abbiamo visitato cantine sul modello “californiano”, bellissime, con hostess che parlavano 5 lingue e poi questa di Salta. Tra l’una e l’altra tantissimi chilometri…
Per quanto riguarda il cibo invece sono molto più viziata, Uliassi e Vissani tra i miei preferiti. Fuori dall’Italia ho lasciato un pezzettino di cuore nei Paesi Baschi.
Un vino da assaporare la sera guardando il mare ?
Champagne. La schiuma, il sale, il caldo, la sabbia…tutto è perfetto abbinato ad una buona bollicina francese.
Lei e suo marito, per un giorno, lontani da tutto e da tutti, che vino sceglierebbe ?
Forse, in questi giorni freddi di gennaio, un Rosso di Sera della Fattoria Poggiopiano. Un rosso elegante, suadente, con un tannino gradevolmente graffiante. E’ uno di quei vini che riesce a migliorare anche un momento perfetto.
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