
Studio, tecnica, pacatezza ed eleganza, questo è Gennaro Buono.
Una lunghissima intervista impossibile da tagliare, perché un itinerario affascinante lo si percorre tutto, dall’inizio alla fine, e non lo si riesce ad abbandonare. Il vino, il suo profumo, il suo colore, la sua emozione e un po’ di Gennaro Buono, la sua parte intima e segreta, ma solo un po’, come con un buon vino da meditazione.
Buona lettura e cin, cin!

Vuole raccontarmi il suo lavoro?
Ricopro la funzione di Food & Beverage Manager per il Gruppo Manfredi. Mi occupo di tre strutture. A Roma del ristorante stellato Aroma e della nuova apertura, il bar The Court. Sull’isola di Capri del ristorante stellato Mammà e del ristorante gourmet Le Monzù, che si trova all’interno dell’hotel Punta Tragara 5 stelle lusso. Oltre a fare il management di questi ristoranti sono il sommelier corporate. In ogni struttura abbiamo un executive chef, un restaurant manager, un maître e un sommelier. Io coordino il lavoro di questi collaboratori, per la creazione del menù insieme agli chef, per la creazione della carta dei vini, degli abbinamenti e dei percorsi di degustazione insieme ai sommelier.

Quando ha incontrato il vino per la prima volta?
E’ stato a Battipaglia, quando ero bambino. La mia famiglia aveva un oliveto e una piccola vigna dove producevamo il vino in maniera artigianale, per il consumo familiare. Poche bottiglie sia di bianco che di rosso. La nostra era una vendemmia contadina, con il torchio e le botti di legno. Ho dei ricordi ancora molto vivi di quei momenti.

C’è un vino che ha segnato la sua vita?
Più che un vino direi un vitigno. Il Sangiovese ha segnato il mio percorso professionale. Quando andai a lavorare in Toscana cominciai a visitare le cantine in maniera tecnica, a studiare, ad andare nelle vigne e a parlare con gli enologi. Ero nella patria del Sangiovese, nella zona del Chianti Classico, Montalcino, Montepulciano.
Veronelli diceva che il vino è il canto della Terra verso il cielo, ha mai provato questa sensazione?
Sì molti anni fa a Bordeaux. Mi trovavo lì per la fiera Vinexpo. Era sera, il sole stava tramontando e passando accanto all’Azienda Château Cheval Blanc, entrai nella prima vigna. L’emozione fu fortissima, fino a quel momento quelle vigne le avevo viste solo sui libri, in quel momento erano lì, accanto a me. E’ stato allora che ho provato la sensazione descritta da Veronelli.

Se le dico eleganza e stile che vino le viene in mente?
Riesling della Mosella.

Chi il vino lo produce cerca la perfezione secondo quello che è il suo progetto, chi lo beve cerca l’emozione, Gennaro Buono sommelier cosa cerca?
Cerco un’identità. Un vino per trasmettere un’emozione a chi lo beve deve avere una sua identità, deve rappresentare una storia, un luogo e anche la cultura personale del produttore. Si deve poi identificare in un vitigno, che dovrebbe essere rappresentativo della zona in cui nasce. Ma soprattutto il vino deve emozionare, deve creare quella reazione che è una linea sottile, quasi indimenticabile, tra l’aspetto tecnico e ciò che colpisce quando si mette il naso nel bicchiere e poi lo si assaggia.

Il vino è il frutto di madreterra, per raccontarlo intimamente al meglio ci vuole un lato femminile lei pensa di possederlo?
Se il lato femminile viene inteso come sensibilità più acuta sicuramente sì. Chi racconta il vino deve calarsi in un momento personale anche un po’ intimo e deve trasmettere ciò che ha toccato le sue corde emotive. Se invece parliamo di analisi sensoriale da un punto di vista tecnico, attraverso un percorso di studi, tutti possono arrivare al riconoscimento del gusto, ma per trasmetterlo in maniera corretta probabilmente ci vuole quella parte di sensibilità e un lato che possiamo definire femminile.

Si ritiene un sommelier fantasioso o ortodosso nei suoi abbinamenti?
Io vengo da una cultura molto tradizionale, amo Montalcino e Chianti Classico, poi però per curiosità mia e per necessità lavorative sono molto aperto al mercato. Anzi credo che oggi, la caratteristica che un buon sommelier debba avere, sia quella di essere molto aperto mentalmente.

C’è un abbinamento inedito che le farebbe piacere proporre, ma non ha ancora trovato l’ospite che lo apprezzerebbe?
Abbinamenti estremi e insoliti li proponiamo spesso. Nei nostri percorsi di degustazione abbiamo già inserito la birra, alcuni tè e abbiamo fatto anche degli abbinamenti con il sakè. Ora stiamo studiando un abbinamento con un distillato, la grappa, un ottimo prodotto che deve essere maggiormente valorizzato.

Vini liberi dalla chimica, ma eccezionali e di qualità si possono ottenere?
La chimica non è un presupposto fondamentale per ottenere un vino di qualità. Oggi molte aziende si stanno trasformando ed è una fetta di mercato che si sta ampliando sempre più. Un vino, il più possibile naturale, che va a limitare l’inquinamento, avrei piacere ad averlo nella mia carta dei vini. Però non è questo il giusto rapporto per stabilire se è un vino di qualità. Ad esempio, se un vino non è filtrato, ma ha dei difetti olfattivi credo non possa essere venduto come un vino di qualità perché naturale. Per me il vino è piacevolezza, quel vino che non mi dà piacevolezza, non genera quell’emozione che dovrebbe darmi. Nella produzione di vini commerciali e di grandi volumi la chimica aiuta, velocizza e migliora tantissimo i processi produttivi. Se parliamo invece di vini di qualità sappiamo che oggi il vino è una combinazione tra la natura e la mano dell’uomo, oggi la mano dell’uomo si è evoluta, e tramite la tecnica e l’utilizzo di alcuni elementi ha migliorato tantissimo il prodotto vino. Io ritengo che ci debba essere equilibrio e il giusto rapporto tra i tre componenti.

Esiste il segreto perché un vino abbia successo o basta solo che sia eccezionale?
Quando il vino è frutto di una storia, di una ricerca e anche alcune volte di una sperimentazione, perché anche questa fa parte della bellezza del vino, sicuramente avrà successo. Quando si mette il naso nel bicchiere si capisce, da quella percezione, se il vino ha una marcia in più. In questo momento della sommellerie è molto importante la componente olfattiva e sensoriale, a volte anche più del gusto.

Cosa dovrebbero fare i viticoltori italiani per anticipare il futuro?
Dovrebbero essere più uniti perché al momento non lo sono. In Francia l’unione tra i produttori ha portato ad affermare alcune zone vitivinicole facendole divenire le più importanti al mondo. Queste zone hanno oggi un’identità forte e questo ha permesso a molti brand e a molte tipologie di vino di affermarsi e di raggiungere prezzi stellari. I produttori hanno fatto della loro identità, del loro terroir, una forza comune. In Italia, invece, si tende a non condividere e questo ha portato a una discrepanza anche commerciale dei nostri vini. Poi abbiamo anche noi qualche esempio virtuoso come in Campania e in Collio.

Quando gli impegni aumentano i sommelier tendono a non visitare più le cantine, questo non toglie valore alla professione?
Sì molto. Io penso che nel momento in cui si sceglie di collaborare ufficialmente con un’azienda e di inserire i suoi vini nella carta del ristorante è sempre buona cosa visitare la cantina. Andare in cantina permette una conoscenza approfondita che il rappresentante, anche se bravo, non può trasmettere. Qualsiasi persona impiegata alla vendita e al servizio deve tramettere un’emozione. Se quell’emozione non l’ha vissuta in prima persona può essere bravo ad inventarla e questo potrebbe far parte di una cultura. Alcuni professionisti sono molto bravi a mettere in scena anche ciò che non hanno vissuto. Io penso però che quando c’è un’emozione vera l’ospite la sente in maniera diversa, si crea dal punto di vista comunicativo, una vibrazione tra lui e l’operatore.

Cosa c’è nelle cantine dei suoi ristoranti?
Molta Italia, perché avendo, soprattutto sull’isola di Capri, tanti ospiti stranieri, vogliamo fargli conoscere la nostra nazione da nord a sud, ma cerchiamo però anche di essere legati al territorio. Quindi a Capri abbiamo molta Campania, le isole e tutto il sud d’Italia. A Roma invece siamo più aperti all’internazionalità, abbiamo Champagne, alcuni vini tedeschi, degli Stati Uniti, un po’ di Spagna, oltre ai classici italiani, però di base la nostra è una carta dei vini italiana.

Un ristorante di alta fascia può trasmettere un messaggio sociale attraverso il vino?
Sicuramente sì. Noi quando ne abbiamo avuto l’occasione abbiamo proposto ai nostri ospiti i vini della Comunità di San Patrignano e il vino prodotto dal gruppo Frescobaldi nell’Istituto di Pena dell’isola di Gorgona. E’ un valore aggiunto da trasmettere all’ospite e se comunicato nella maniera giusta può essere molto bello. Ben vengano questi progetti, dovrebbero essercene di più.

Un salotto, un camino acceso, due poltrone, la invito a scegliere un vino da meditazione e una persona del mondo del vino che non c’è più per attendere l’alba conversando.
Sceglierei un Porto. Recentemente è mancato Gerard Basset, fondatore della catena di ristoranti Hotel du vin e l’unico a detenere i titoli di Master Sommelier e Master Wine. Di lui mi piaceva il suo cercare di raggiungere sempre un nuovo obiettivo. Lo conoscevo, ma non in maniera profonda e con lui mi sarebbe piaciuto trascorrere una notte a parlare di vino.

Il primo miracolo di Gesù è la tramutazione dell’acqua in vino durante le nozze di Cana, le accade mai di considerare il vino in veste sacra?
Sì mi accade. Nel bicchiere c’è sicuramente qualcosa di mistico, di religioso non so. Ripensando in maniera profonda alla degustazione del vino mi viene in mente che esiste una connessione molto forte con la storia. Questa storia ci porta indietro nel tempo anche di migliaia di anni. Il vino ha fatto parte di eventi che hanno segnato la storia dell’umanità. La sua componente mistica è però quella più difficile da descrivere.

Il suo primo libro sta per essere dato alle stampe può anticipare qualcosa?
Uscirà a novembre con Bruno Editore. E’ un libro di facile lettura ed è dedicato agli appassionati di vino. In parte è il racconto del mio percorso professionale, delle gare, dei riconoscimenti ottenuti, ma anche delle tecniche che ho utilizzato per conseguirli. Quindi nel libro parlo di crescita personale, di programmazione neurolinguistica, argomenti che ho approfondito anche al di fuori della ristorazione. Tratto il vino a 360 gradi, ma non dal punto di vista tecnico, quindi non ci sono cartine, vigne o denominazioni, ma parlo invece di analisi sensoriale, di come riconoscere i profumi del vino, o come scegliere cosa bere in un’occasione particolare. La prima presentazione sarà a Milano, poi a Roma e infine in Campania la mia terra. Sarà in formato cartaceo e ebook, il prossimo anno sarà tradotto in inglese.

Un sogno nel cassetto di Gennaro Buono?
Aprire una mia scuola di formazione professionale sul vino.
Se la sua mamma fosse un vino sarebbe?
Sarebbe un vino molto neutro, pacato, non esplosivo, un Trebbiano.

Chi è la donna che vive accanto a lei? Se fosse un vino sarebbe?
Siamo sposati da un anno. E’ un’operatrice di sala, abbiamo lavorato insieme con successo in alcuni ristoranti riuscendo a separare i sentimenti dal lavoro. Anche lei del sud Italia con profonde radici nella cultura del cibo e del vino. Come me ama molto viaggiare. La amo perché mi trasmette molta energia. In lei ho trovato un grande sostegno emotivo e psicologico, ma anche quel confronto che mi ha aiutato nella realizzazione dei miei progetti e anche nella stesura del libro. Se fosse un vino sarebbe un vino molto elegante, intrigante, esplosivo, ricco di profumi un Gewürztraminer.

E’ solo a casa, un attimo di nostalgia cosa beve?
Solitamente quando sono solo non bevo mai, preferisco la condivisione. In un momento di nostalgia forse sceglierei un distillato, un whisky per riflettere e meditare.

Quando è felice cosa beve?
Banalmente direi uno champagne o uno spumante. Anche se non vedo lo champagne come lo stereotipo di felicità. Quindi berrei uno spumante italiano un Trentodoc o un Franciacorta.

Una musica che rappresenta il vino?
Credo che ogni vino abbia la sua musica. In generale direi il jazz, per la sua trasmissione di energia e vitalità.
Che colore ha il vino?
Rosso come la passione.
Lascia un commento