Catia Lorusso arriva da una regione dalla profonda e antica tradizione vinicola, la Campania Felix dei Romani, dove La Scuola Medica Salernitana non a caso consigliava: “Per evitare affanni comincia la cena bevendo”.
Una donna dalle tante sfaccettature, e se vogliamo raccontarla con quello che è il suo grande amore, il vino, potremmo dire: affezionata alla sua Terra come un Nebbiolo; modesta con convinzione come un Gattinara;
spumeggiante come uno Champagne francese; allegra come un Prosecco rosé; calda e profonda come un Amarone; vellutata come una Malvasia passita.
Quando ti sei innamorata del vino e hai deciso di diventare una sommelière?
Ho sempre avuto una grande passione per il buon vino e per il buon cibo, poi, nel 2013, per curiosità ho deciso di frequentare un corso AIS a Sala Consilina e da quel momento è nato tra me e il vino un grande amore, che ha cambiato il corso della mia vita. Tutti i miei ricordi da bambina sono legati alla vendemmia e al vino, infatti prima mio nonno e ora mio padre hanno prodotto il loro vino utilizzando l’uva della loro vigna. Un vino semplice, che non invecchia, da bere ogni giorno, senza l’aiuto dell’enologo, che io bevo ogni volta che torno a casa.
Qual è la prima cantina che hai visitato da sommelière e quali sono state le tue sensazioni?
La prima cantina è stata l’Azienda San Salvatore, nel Parco Nazionale del Cilento a Giungano.
Ricordo ancora l’odore pungente del mosto nelle narici. Oggi tutto è diverso, il mio entrare in una cantina è divenuto quasi un rito che si ripete ogni volta che vado a incontrare un produttore o ad assaggiare un vino. Per me è sempre meraviglioso, dopo qualche passo, sentire il profumo inebriante del mosto che lentamente mi avvolge.
Quali sono i tre colori che ha per te il vino?
Il rosso, il colore del sangue e della vita. Il verde, il colore dell’acino acerbo, del tralcio di inizio estate, quando la pianta è vigorosa e l’autunno è ancora lontano. Il giallo, il colore del sole, che fa maturare i grappoli, i frutti della vite.
Un tuo riferimento nel mondo del vino?
Matteo Zappile, chef sommelier e restaurant manager del Pagliaccio di Roma. Matteo è la prima persona che ho conosciuto nella Capitale quando mi sono trasferita due anni fa. Tra noi è nata subito una grande empatia, anche perché lui è di Battipaglia, che dista solo 70 chilometri dal piccolo paese dal quale io provengo. Quando si arriva in una grande città si tende a legare con le persone provenienti dal proprio territorio. Oggi ci unisce una bella amicizia e una profonda stima, e inoltre, quando ho bisogno di un consiglio, di un ‘opinione, non solo sul lavoro, so di poter contare su di lui.
Hai incontrato il maschilismo nel tuo lavoro?
Direi di no, io non ho mai avuto modo di avvertirlo da parte di un mio collega o di persone che ho incontrato nel mondo del vino, anzi, io credo che agli uomini faccia piacere lavorare con una donna che fa il loro stesso mestiere. Ho spesso occasione di lavorare con sommelier, ma vengo sempre trattata alla pari, con educazione e rispetto. Questa è una professione fantastica che permette la discussione e il confronto, quindi, sul vino è quasi sempre possibile trovare un accordo.
Come si fa a capire qual è il vino giusto per un cliente dopo aver scambiato con lui solo qualche parola?
Servono intuito e perspicacia. Intuito perché bisogna capire in poco tempo e con poche domande cosa l’ospite desidera bere. Solitamente io chiedo se ama bere un vino di struttura o meno, ma posso anche domandare se gradisce un vino fruttato o floreale o meno impegnativo all’olfatto. Spesso, però, chi ha una buona conoscenza del vino sceglie senza farsi guidare.
Il vino che ami di più?
I grandi sommelier sostengono che non può esserci un vino che si ama di più, perché il vino cambia a secondo delle annate e anch’io credo sia così. Io solitamente mi affeziono ai produttori e poi nasce l’empatia con alcuni dei loro prodotti, ma il vino che amo stappare nelle occasioni importanti, con la mia famiglia è l’Amarone Tommasi. Mi piace perché un po’ mi assomiglia. E’ un vino della Valpolicella, il primo anno di produzione è stato il 1959. Nasce da una vendemmia tardiva nel mese di ottobre, dopo la raccolta l’uva riposa in appassimento nel fruttaio, su graticci arieggiati per 100 giorni, e dopo la lavorazione invecchia per tre anni in botti di rovere di Slavonia. Questo vino ha avuto la sua massima espressione nel 2009 con un’annata da ricordare. L’Azienda Tommasi è nata nel lontano 1902 con il solo piccolo vigneto del nonno Giacomo, oggi la Famiglia possiede 550 ettari di vigneto distribuiti in 4 regioni enoiche importanti: Veneto, Lombardia, Toscana e Puglia. L’Amarone è il suo vino di punta.
Quando assaggi un vino per la prima volta cosa cerchi?
In un vino cerco l’equilibrio. Amo il vino che non eccede nelle durezze, ma non eccessivamente abboccato. Non amo il vino dall’acidità spiccata, ma neppure il vino scontato. Fondamentalmente cerco l’armonia e quando non la trovo ci rimango male.
La regione enoica che ami di più?
La mia regione, la Campania, dove la vite fu impiantata per la prima volta dai Greci e poi dai Romani, che consideravano il Falerno, il Caleno e lo Statano come i vini migliori.
Vuoi raccontarmi un vino che ti ricorda la tua terra?
L’Aglianico in purezza dell’Azienda Tempere dei fratelli Giuseppe e Arsenio Pica, prodotto a Sant’Arsenio, un piccolo borgo in provincia di Salerno. L’Azienda produce 12.000 bottiglie ogni anno, in un territorio che un tempo aveva una grande tradizione enoica abbandonata però, per sostituirla con la produzione dell’olio, tra il 1920 e il 1940, in seguito ai cambiamenti climatici e all’epidemia di fillossera che aveva flagellato l’Italia e anche la Francia.
I fratelli Pica, nel 1996, ricevuto in eredità dal loro nonno un terreno, hanno deciso di provare a reimpiantare in quel luogo la vite. Oggi producono con molto successo un vino molto particolare che, chi non conosce la mia terra, non direbbe mai che si tratta di un Aglianico, perché a tratti ricorda il Taurasi, altro vino importante campano. L’Aglianico Tempere ha un colore rosso ciliegia, profuma di sottobosco, di frutti rossi: ribes e fragoline selvatiche, di tabacco, di crosta di pane bruciata e di pepe nero. In bocca è persistente con una bella acidità e anche sapidità. Posso dire che questo vino rappresenta la massima espressione della mia terra.
Tutti possono essere sommelier ?
Temo di no! Un sommelier deve avere il dono del buon olfatto. E’ necessario allenarsi, vi sono persone capaci di raccontare il vino, di tenere una lezione di enologia, ma non hanno un ricordo olfattivo.
Hai un appuntamento romantico, vuoi scegliere tu vino e musica?
Solitamente a me piace essere corteggiata, ma se dovessi scegliere io la scelta cadrebbe sicuramente su una bollicina francese di Bruno Paillard e come sottofondo il brano di Ludovico Einaudi, “Experience”.
Per un appuntamento tra amiche che vino sceglieresti?
Ho delle amiche che come me amano il vino, quindi solitamente stappiamo più di una bottiglia. Ci piace attraversare l’Italia con i calici scegliendo solitamente vini che non conosciamo. Abbiamo sempre la curiosità di scoprire qualcosa di nuovo. La scelta, allora, potrebbe essere prima una bollicina del Trentino, poi un vino rosso dell’Etna.
Vuoi darci dei consigli per una perfetta degustazione?
Io credo che non esista una perfetta degustazione. Un sommelier ovviamente può farla seguendo i parametri che solitamente si utilizzano quando si esamina un vino, invece chi è semplicemente curioso e non un addetto ai lavori deve, per prima cosa, scegliere il calice adatto perché questo permette di valorizzare il vino consentendogli la sua massima espressione nella degustazione. Subito dopo deve lascarsi trasportare dall’emozione. Un vino può inizialmente colpire per l’etichetta accattivante, per il suo profumo, ma poi ci si deve abbandonare dall’empatia che nasce, perché, vi assicuro, nasce sempre.
Dove ti piacerebbe essere la sommelière per una sera?
Non credo sia necessario ambire a lavorare in locali di élite per potersi esprimere, quindi il più bel servizio che potrei fare è a casa mia, con i miei cari, davanti al camino. Potrei spiegare a mio padre che, quello che sento quando assaggio un vino, non è frutto della mia fervida immaginazione, ma è reale.
Come vedi il mondo del vino oggi?
E’ un settore in continua espansione che incuriosisce addetti ai lavori e non.
Ti invito a fare un salto nel tempo, dove ti vedi tra dieci anni?
Mi vedo nella Città Eterna, con cinque bambini che corrono nel mio piccolo ristorantino di 30 posti, mentre io degusto e racconto le eccellenze che ho nella mia carta dei vini. Una realtà piccolissima, un menù cortissimo fatto di tante chicche italiane, il lavoro di piccoli produttori. Insomma un cibo molto ricercato e tanti vini.
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