Oggi 28 Maggio 2016, il Calendario del Cibo Italiano, con Maria Teresa Cutrone del blog De Gustibus Itinera come ambasciatrice, festeggia il Cibo nell’arte.
In cibo è stato oggetto di rappresentazione dalla notte dei tempi. Le prime tracce le troviamo, come rito propiziatorio prima della battuta di caccia, sulle pareti delle caverne preistoriche.
Le prime nature morte, in greco Xenia, vengono dipinte per abbellire le dimore di Ercolano e Pompei, per rappresentare il cibo offerto dal padrone di casa ai suoi ospiti.
Nel Medioevo il cibo assume invece un significato simbolico rappresentando la differenza tra le classi sociali: legumi, pane, aringhe per i più poveri; selvaggina, uva e dolci per i più ricchi, ma anche il passare delle stagioni, oppure i vizi e le virtù dell’uomo.
Nelle opere del manierista Arcimboldo invece frutta e verdura assumono inaspettatamente sembianze antropomorfe.
Nella “Canestra di frutta” di Caravaggio il cibo arriva a divenire il protagonista assoluto dell’opera.
Tra il 1700 e il 1900 invece gli artisti utilizzano il cibo per comunicare un messaggio preciso. Van Gogh cerca di dare dignità agli esponenti di ogni classe sociale, mentre De Chirico vuole trasmettere il legame tra natura e uomo.
Insomma un cibo con un potere incantatore che si fa ammirare, interpretare e anche desiderare.
In questa giornata così importante ho dovuto operare una scelta tra tante opere e
dopo tanti dubbi ho scelto “Colazione sull’erba” di Edouard Manet, del 1863, un olio su tela, 208×264 cm, conservato a Parigi nel Muséé d’Orsay. Opera che scandalizzò la Parigi benpensante del tempo per il nudo femminile in primo piano.
Manet può essere considerato l’ispiratore dell’Impressionismo, movimento artistico nato spontaneamente, senza manifesti e teorie che ne spiegavano le finalità. Giovani artisti provenienti da esperienze e realtà sociali diverse, insofferenti alla pittura ufficiale del tempo, avevano iniziato a riunirsi prima casualmente, poi di venerdì, e poi ancora ogni giorno, a Parigi, al numero 11 della Grande Rue des Batignolles nel Cafè Guerbois.
Per spiegare le loro riunioni sono sufficienti le parole del pittore Claude Monet: <<Niente poteva essere più interessante di quelle frequenti e lunghissime riunioni e di quei contrasti di opinione sempre animati; essi tenevano vivo il nostro spirito e ci davano una carica di entusiasmo che ci sosteneva per settimane finché non davamo finalmente espressione alle idee maturate>>.
L’Impressionismo nasce così, in una Francia che, nel 1870, dopo la sconfitta di Sedan, dopo il tramonto di Napoleone III, aveva proclamato la sua Terza Repubblica. In essa si afferma una borghesia moderata e conservatrice che, dati i facili profitti derivanti dal forte sviluppo industriale e dalla espansione coloniale, instaura una politica tesa a difendere i propri interessi economici.
Parigi in quel momento è una città borghese e festosa, nel suo sottosuolo corre già la metropolitana, nei suoi grandi magazzini vengono installati i primi ascensori elettrici, la notte è illuminata da lampioni a gas, ed è per questo che le viene dato il nome “ville lumière”.
Brulica di musei, di teatri, di sale da ballo, di casinò e caffè. Un testimone dell’epoca scrive, descrivendo i suoi grandi viali, i boulevards , <<una grande sala all’aperto scintillante di luci e di colore>>.
A Parigi in quegli anni si vive la “Belle époque”, ed è per questa atmosfera così unica e particolare,
densa di stimoli, che nasce l’Impressionismo.
I pittori impressionisti operano una vera rivoluzione nell’arte, aboliscono totalmente la prospettiva geometrica, rappresentano sulle loro tele “l’impressione pura” cogliendo l’essenza delle cose e delle situazioni, eliminando il superfluo, il disegno e le linee.
Se osserviamo un loro grappolo d’uva, vediamo che non viene descritto come appare nella realtà, non possiamo contare i suoi acini, ma lo ammiriamo nel suo insieme, rappresentato solo da pennellate di colore puro.
Prendendo spunto dalle scoperte scientifiche sui meccanismi della visione nel campo dell’ottica, teorizzano che il colore non esiste di per sé ma varia a seconda degli altri colori che vi sono accanto. E allora una mela rossa poggiata su di una superficie blu avrà sfumature viola, invece un limone giallo poggiato su di un piano rosso sarà arancione.
Importantissima è anche luce che ci fa percepire i colori, ogni colore infatti ci appare infatti più o meno scuro a seconda della luce che lo colpisce. Quindi, perché i colori siano veri e brillanti gli Impressionisti dipingono all’aria aperta “en plein air”. Le loro tele nascono nei boschetti alla periferia di Parigi, nei campi lungo la Senna, nei boulevard affollati di gente. Spesso raffigurano l’acqua, che cambia continuamente di colore e non si ferma mai. Cercano di cogliere “l’attimo fuggente” consapevoli che l’istante successivo darà sensazioni totalmente diverse. Le loro pennellate sono dei veloci “tocchi virgolati”, sono picchiettature, macchiette, trattini, con l’uso di pochi colori puri, e il bianco e il nero vengono considerati “non colori”.
Edouard Manet nasce a Parigi il 23 gennaio 1832. Il padre, alto funzionario ministeriale, lo avrebbe voluto magistrato, ma vista la sua scarsa inclinazione agli studi e la grande predisposizione per il disegno e la pittura decide di farlo imbarcare, appena sedicenne, su di un vapore diretto a Rio de Janeiro, nella speranza di distoglierlo dalle futili inclinazioni e di farlo divenire almeno un comandante navale di lungo corso. Il viaggio però stimola il giovane Manet solo dal punto di vista artistico e all’esame per ufficiale di marina viene bocciato.
<<Ebbene, segui pure le tue inclinazioni: studia l’arte!>>, queste le parole del padre, che sconsolato considera il figlio un fallito. Nel 1850, Manet comincia la sua formazione artistica presso l’atelier del pittore accademico Thomas Couture, specializzato in rappresentazioni storiche di grande formato. La sua pittura impersonale, retorica, che segue il gusto accademico del tempo, non piace a Edouard che la considera vuota e innaturale, e quindi, ben presto, la loro collaborazione si interrompe per incompatibilità.
Da quel momento inizia a viaggiare per l’Europa, per ammirare, nei musei di Francia, Italia, Germania, Austria e Olanda, soprattutto i grandi coloristi come Velàzques, Rembrandt, Tiziano e Tintoretto.
Con Degas, suo grande amico, nonostante le divergenze degli ultimi anni, frequenta insieme a tanti giovani artisti il Café Guerbois.
Dal 1869 pur continuando a dipingere nel suo atelier inizia una produzione “en plein air” nei giardini Tuileries accanto al Louvre. Amato dal pubblico che acquista le sue opere a cifre elevate è invece rifiutato dalle giurie accademiche dei Salons. Pur non partecipando ad alcuna esposizione degli Impressionisti sono sempre presenti in esse il suo influsso e la sua presenza morale.
Con il passare degli anni l’artista comincia a soffrire di crisi depressive, poi dal 1878 si manifestano i sintomi di una paralisi agli arti inferiori. Nonostante questo grave problema di salute Manet continua a dipingere fino alla morte che avviene il 30 aprile del 1883. Il giorno dei funerali, assente solo Renoir in viaggio in Italia, gli Impressionisti si incontrano forse per l’ultima volta, rendendo omaggio all’artista che aveva aperto la strada alla pittura contemporanea.
In “Colazione sull’erba”, Manet vuole rappresentare un picnic. Usanza, fino al 1600, riservata alla nobiltà che amava mangiare all’aperto durante le pause delle battute di caccia o per sottrarsi ai lunghi banchetti aristocratici, e divenuta solo dal 1800 comune a tutte le classi sociali. Ed è proprio in questi anni che i picnic, tranquille scene di vita in cui il cibo è protagonista, cominciano a essere rappresentati dai pittori del tempo. Il cibo all’aperto sembra acquistare luminosità e colore, cattura la luce, la riflette e la rinvia all’osservatore. Il cibo va prima gustato con gli occhi poi con il palato.
“Colazione sull’erba”, inizialmente intitolata inizialmente da Manet “Le Bain”, nasce nel mese di agosto del 1862 ad Argenteuil, osservando delle donne che si bagnano nella Senna. I critici accusano ingiustamente Manet di volgarità e malizia. A chi gli rimprovera di voler sovvertire le regole della tecnica pittorica, l’artista risponde: <<…è solo effetto di sincerità se le opere acquistano un carattere che le fa simili a una protesta, anche se il pittore non pensa che a rendere una sua impressione e cerca solo di essere se stesso>>.
Migliaia di visitatori si accalcano per vedere l’opera oggetto di scandalo. Emile Zola, amico ed estimatore di Manet così li ridicolizza: <<Da ogni parte si sentiva il respiro ansimante di corpulenti gentiluomini e il rauco sibilo di signori allampanati e su tutto dominavano le stupide risatine flautate delle donne. Nella parte opposta della sala un gruppo di giovani si contorceva dal ridere … e una signora era stramazzata su una panca, le ginocchia strette, ansimando e sforzandosi di respirare col viso nascosto nel fazzoletto>>.
Il dipinto, in realtà, desta tante critiche non per il nudo, ma solo perché Manet ha rappresentato nuda una ragazza del tempo e non una divinità classica o un personaggio mitologico. Allo stesso modo i due uomini ritratti non indossano abiti classici o rinascimentali, ma come scrive un critico del tempo,<<gli orribili costumi moderni francesi>>. Contrariamente a quello che tutti credono Manet è influenzato dal “Concerto campestre” attribuito a Tiziano o a Giorgione e da alcune incisioni di Marcantonio Raimondi, tratte del “Giudizio di Paride” di Raffaello.
Manet viene criticato anche per non aver saputo utilizzare la prospettiva e il chiaroscuro. Eugène Delacroix, padre della pittura romanica afferma che nel dipinto <<la tinta stridente penetra negli occhi come una sega d’acciaio>>, e che <<i personaggi si stagliano tutti d’ un pezzo con una crudezza che nessun compromesso addolcisce>> e che l’arte di Manet <<ha tutta l’asprezza di quei frutti che non matureranno mai>>.
La scena, ambientata in una radura erbosa di un boschetto, rappresenta in primo piano una donna nuda. Per il dipinto ha posato la modella preferita dell’artista Victorine-Louise Meurent, accanto a lei uno dei fratelli di Manet. Il secondo personaggio maschile è il futuro cognato, Ferdinand Karel Leenhoff, che sta semisdraiato di fronte ai due, con un braccio teso in direzione della giovane donna.
In secondo piano una ragazza, con un abito bianco che le lascia scoperte le spalle, si bagna nello stagno dove c’è una barca e galleggia una ninfea. In mezzo agli alberi un uccello, forse un pettirosso.
Il senso della profondità prospettica non è dato dal disegno, ma dai piani successivi degli alberi e delle fronde che si sovrappongono, creando zone di luce e ombra, grazie alla tecnica del chiaroscuro.
In basso a sinistra, un cappellino di paglia, il vestito della giovane donna, la tovaglia azzurra con sopra un cestino rovesciato e della frutta disseminata intorno senza un ordine particolare, rappresentano una natura morta all’interno del dipinto. Accanto alla frutta il pane, nutrimento semplice e naturale, solo acqua e farina, quindi simbolo di bontà e genuinità, ma anche di lavoro, di pazienza e perseveranza. Seminare, raccogliere, macinare, impastare e cuocere, gesti che si ripetono da migliaia di anni. Il pane è anche e soprattutto condivisione, forse è questo che Manet vuole rappresentare: spezzare, condividere e mangiare insieme. La frutta è sinonimo di abbondanza e prosperità, ma anche simbolo di vita. Le pesche sono simbolo di buon augurio, ricchezza e lunga vita. I fichi invece simbolo di dolcezza e di pace, benessere e serenità come il momento che i giovani stanno vivendo. Le castagne sono i frutti della previdenza che si conservano tutto l’inverno . Infine le ciliegie, dolci, rosse e succose rappresentano l’emblema della passione e della seduzione. I colori sono stesi con pennellate veloci, toni caldi per la frutta e il cappello di paglia, toni freddi per i vestito azzurro.
Il contrasto li rende vivaci e brillanti. Un’opera, questa di Manet, dove il cibo, a dispetto del titolo, sembra occupare un ruolo marginale, ma non è così, in un semplice cestino, quasi una cornucopia, quanti significati…
Gabriella è un post bellissimo intramezzato dalla storia che ha accompagnato l’arte, brava brava complimenti
Grazie Sonia.
Cara Gabriella il tuo è quasi un trattato! La lettura critica, le vicende biografiche di Manet, la situazione storico-sociale dell’epoca, c’è tutto. Grazie per questo tuo prezioso contributo, scritto perfettamente e completo in ogni sua parte.
Un caro saluto e buon weekend!
Grazie a te Maria Teresa è stata un’altra occasione per ricercare, cosa che a me, come sai, piace tanto.
Ci sentiamo presto.
Bellissimo! Mi hai riportato in Francia! Adoro questo fantastico pittore. Grazie!!
Grazie a te Antonella.
un articolo stupendo e completo, che mi ha insegnato tante cose. Grazie! Conoscevo l’opera, ma non “lo scandalo” che ne scaturì; quanta genialità incompresa, in questo dipinto! Fortunatamente oggi lo possiamo ammirare in tutto il suo splendore e senza imbarazzi 🙂 .
Una scoperta anche per me, il Calendario di permette ricerche che probabilmente non avremmo mai pensato di fare.
Grazie Fausta…