
Con Miguel de Torres il pane diviene arte, idea, messaggio, condivisione. La Reale Accademia di Spagna in Roma accoglie i suoi artisti e le varie discipline si mescolano creando inaspettate nuove forme d’arte. E il pane, il piccolo sole in miniatura, trasmette emozione, perfezione, bellezza.

Chi è Miguel de Torres? Vuole raccontarsi ai lettori del mio blog?
Sono un borsista della Reale Accademia di Spagna. Mi sono avvicinato alla cucina in “età avanzata”, infatti fino al 2007 non avevo mai lavorato in ambito culinario. Da allora scrivo di gastronomia, preparo, fotografo, e scrivo ricette per diverse riviste spagnole. Da questa mia passione è nata a Madrid la scuola Pan y Cebolla, dedicata al pane e alla cucina internazionale, con una collaborazione con l’Università Complutense di Madrid, per offrire corsi di cucina spagnola agli studenti universitari provenienti da tutte le parti del mondo. Una scuola pop-up che doveva rimanere aperta solo qualche mese e invece lo è stata per cinque anni, partecipando per tre anni alla manifestazione Madrid Fusion con diversi progetti. Da uno di questi, “Il pane delle tre culture”, cristiana, musulmana ed ebraica è nata l’idea del progetto che sto sviluppando qui in Accademia.

Lei lavora con il pittore astrattista José Maria Sicilia, vuole parlarmi della vostra collaborazione?
Con la conoscenza di Sicilia è iniziato il mio percorso nel mondo dell’arte. La nostra collaborazione dura da molti anni. Servendoci della gastronomia rappresentiamo concetti relativi al disastro di Fukushima. È un progetto concettuale con una parte sociale. Ho incontrato i giapponesi che si sono trasferiti dal nord Italia a Tokyo abbiamo parlato della loro situazione e di ciò che ha significato. Sono stato a fare i miei acquisti al nord, nei luoghi del disastro si producono i migliori prodotti alimentari, ma in tutto il Giappone c’è un totale rifiuto di questi cibi. C’è ancora un alto grado di contaminazione nucleare, ma quando i paesi vengono riaperti vado a dare lezioni di cucina. Abbiamo organizzato la commemorazione degli scomparsi, ci è stata ceduta una tomba nel paese colpito dallo Tsunami e su tante Kokeshi, le bambole giapponesi, abbiamo messo i volti dei molti scomparsi nella tragedia. Oggi se non fossi in Accademia sarei in Giappone. La cucina è focalizzata sul disastro, è uno strumento, il messaggio riguarda l’incidente nucleare. Non c’è un’opera d’arte, l’azione che svolgiamo in quei luoghi è l’opera d’arte stessa. È un’arte concettuale, più moderna, che non sfocia in qualcosa di tangibile, ma in un’esperienza. Non viene rappresentata, ma registrata in video, resterà traccia di tutto. Invece il mio progetto qui in Accademia non sarà solo puramente concettuale. Creerò un libro d’artista nel quale inserirò foto di pani, riproduzioni di ritratti che mi sono piaciuti come quelli di Caravaggio. Ricreerò questi ritratti con i pani. Per la fotografia sto sperimentando l’antotipia, una tecnica primitiva attraverso la quale la pianta, in questo caso il dente di leone, resta impressa grazie alla luce del sole e ad una miscela di erbe fatte da me. La pittura e la fotografia non mi rendono un artista, ciò che mi rende un artista è l’insieme, il concetto.

Qual è l’essenza del suo progetto alla Reale Accademia di Spagna?
È condividere. Accade con il pane, tutti lo mangiano e poi chiedono se è rimasto il pane di Miguel. Mi sento un po’ a casa dove succede la stessa cosa quando si riunisce la mia famiglia e i nipoti e i più piccoli chiedono il pane di Miguel. Il mio progetto è quello più facile da condividere e forse per questo è quello che ha maggiore successo. In Accademia si creano delle amicizie e dei legami, si dice che i rapporti che nascono qui restino saldi per tutta la vita. Si tratta di un’esperienza veramente speciale perché noi spagnoli, come voi italiani, instauriamo delle relazioni molto forti e intense.

Come sarà il pane della Reale Accademia?
Sarà speciale. Sono molti gli elementi che concorrono alla creazione di un pane. Uno di questi e l’ispirazione proveniente dalle pieghe. È un concetto artistico e filosofico. Per me è importante creare un pane che nasca in Accademia. Le farine saranno italiane, ma non ho ancora scelto il mulino, continuo a fare prove. La farina del Mulino Marino è tra quelle che ho provato fino ad oggi e mi è piaciuta molto, ma non so se sarà quella definitiva, ho ancora qualche mese di tempo. Ho deciso di non portare con me il mio lievito madre perché voglio che il lievito di questo pane nasca tra i muri dell’Accademia, voglio che i saccaromiceti, dormienti da 500 anni, da quando il convento venne costruito, si risveglino per dare vita all’impasto. Sarà un pane salato fatto con farina 0 o 00. Per il resto non ho ancora scelto. Amo i pani classici con una lunga lievitazione a freddo con il lievito madre, ma mi piacciono anche altri tipi di pane. Potrei decidere di produrre un pane classico e un pane arricchito con il burro per seguire la tradizione spagnola della pasta sfogliata araba. A partire dal XVI secolo gli ambasciatori spagnoli avevano iniziato a far venire a Roma i loro fornai e così aveva avuto inizio uno scambio di usanze e competenze con gli artigiani romani. In questo modo è nato anche il Pan di Spagna. Questo si riallaccia alla tradizione dell’Impero Romano i cui soldati ricevevano come paga anche un sacco di grano che macinavano loro stessi per produrre il loro pane, creando uno stretto legame tra loro. Ho pensato di aggiungere anche una nota amara al mio pane. In Spagna non esiste la cultura di mangiare verdura amara e di bere i digestivi come in Italia. Nei giardini dell’Accademia cresce il dente di leone, una pianta amara commestibile e allora ho provato ad utilizzarla in infusione, ma vorrei provare anche le radici e le foglie. Ad oggi sono ancora in fase di sperimentazione. Probabilmente con l’infusione idraterò il pane che però non dovrà cambiare colore, voglio che non sia evidente alla vista e che si senta solo l’amaro.

Chi sono gli altri borsisti?
Persone dalla personalità artistica molto elevata. Solitamente alla Reale Accademia si arriva con un progetto, ma questo può modificarsi perché tra gli artisti nascono delle collaborazioni. Due borsiste, un’architetta e una fotografa hanno fatto una ricerca sulle pettinature delle vestali. Verrà quindi riprodotta una pettinatura, questa verrà poi fotografata e rappresentata in una scultura. La mia ricetta del pane verrà trascritta nel mio libro d’artista e un poeta borsista la trasformerà in poesia.

Impastare è un atto creativo che prevede il controllo di quattro elementi: terra, acqua, fuoco e aria. Che sensazioni prova durante la creazione?
Ho amato il pane fin da piccolo. Ricordo che mia nonna ci veniva a trovare a Segovia e mi portava in regalo una pagnotta di pane. C’è un altro ricordo ancora vivido nella mia mente. Avevo dieci anni ed ero andato in campeggio con gli amici e avevamo dormito in tenda. C’era della farina, l’avevo unita all’acqua e la pasta ottenuta l’avevo arrotolata su un ramo e cotta sul fuoco e poi avevamo mangiato insieme il pane mezzo crudo. A dieci anni, con altri bambini della mia stessa età, in mezzo alla natura, avevo controllato i quattro elementi ed era stato meraviglioso. Ancora oggi quando impasto e inforno ricordo quel momento.

Proprio perché il pane per lei è ricordo e la riporta indietro nel tempo, all’infanzia, faceva merenda con il pane?
Quando tornavo da scuola facevo merenda con pane e burro. Mi stupisce di come riuscissimo a mangiare delle fette di pane così grandi con il burro accompagnate da tè o caffè solo due ore prima di cena. Ho un bellissimo ricordo di quelle fette di pane.

C’è un pane che secondo lei rappresenta la Spagna e perché?
Per me è sempre difficile scegliere un pane in particolare, ma se dovessi farlo sceglierei il Candeal di Castiglia. Forse perché i miei genitori sono castigliani, mentre io sono nato a Segovia. È una pagnotta con la mollica bianca e stretta. In Spagna la classificazione della farina in 0 e 00 non esiste, il pane Candeal può essere fatto con entrambe, ma non con la farina integrale.

In Spagna il pane è sempre salato?
Sì, quasi sempre. Il pane sciapo tipico italiano non è molto conosciuto. Il Ministero della Sanità spagnolo ha siglato un protocollo di intesa con i fornai per una graduale riduzione del sale nel pane industriale. Oggi i forni si stanno perdendo e arriva il pane industriale con un impoverimento della qualità. In Spagna, in qualche paese europeo e negli Stati Uniti è nato un fenomeno a mio parere molto interessante che si collega al mio progetto e che si chiama “panettieri domestici”: Le persone cominciano a panificare nelle proprie case e in Spagna, negli ultimi cinque anni, si è verificato un boom di questa pratica e con la pandemia ancora di più. È nato un forum del pane nel quale si riuniscono migliaia di questi panettieri per scambiarsi ricette e competenze. Abbiamo organizzato anche degli incontri per unire panettieri professionali e amatoriali, anche se io preferisco chiamarli panettieri domestici. È una grande comunità di persone che panifica e condivide con gli altri le proprie esperienze. Da quello che vedo, in Italia, questa pratica non è molto sviluppata e allora mi piacerebbe essere il seme, il saccaromicete di questa iniziativa. Mi piacerebbe vedere una fila di romani che con i loro pani entrano nella Reale Accademia per analizzare le loro produzioni, per fare domande, degustazioni, concorsi, raggiungendo livelli di qualità altissimi per portare alla nascita di vere e proprie panetterie. Grazie a questo movimento in molte città spagnole si sono aperte piccole panetterie artigianali d’autore dove appunto la qualità e altissima. Io vorrei che, grazie alla mia idea, accadesse anche in Italia.

Si dice che in Italia i pani siano trecento, anche voi in Spagna ne avete così tanti?
Credo che sia in Italia che in Spagna siano molti di più. Negli anni passati c’è stato un calo della qualità del pane, la panificazione industriale ha fatto sì che si dimenticassero molti pani anche di grande eccellenza. Parte del mio progetto nasce per rispondere alla domanda perché questo è accaduto. Sono dell’idea che i grandi pani erano quelli che venivano prodotti nelle zone rurali, che avevano una tradizione antica e che si cuocevano nel forno della comunità. Questa tradizione è stata quella che ha creato la grande diversità delle farine e del loro metodo di lavorazione. Oggi, in Spagna, nei piccoli paesi, si sta cercando di recuperare i forni e le antiche tecniche di lavorazione.

La civiltà mediterranea considera sacri pane, vino e olio, che solitamente vengono consumati insieme. Unisce mai pane e olio? Ha assaggiato gli oli italiani?
Adoro mangiare pane e olio, in Spagna si usa molto. Non mi piacciono molto le classificazioni, ma a mio parere l’olio migliore è il Castillo de Canena. Conosco i produttori, hanno un grande appezzamento di terreno in Andalusia e producono oli monovarietali. Mi piacciono tutti gli oli con il punto di piccante pronunciato, in particolare Picual e Arbequina. In Italia ho assaggiato un olio che mi è piaciuto molto, Laudemio Frescobaldi, prodotto da un’azienda toscana. Ho avuto modo di assaggiare pane e olio in un ristorante in Italia, ma non ho mai fatto una degustazione. Invece ne ho fatte in Spagna, dove però non si classificano gli oli in base ai sentori di frutti di bosco, pomodoro, carciofo. Si parla solo di oli giovani, verdi, di erba appena tagliata, ma non di altro. Vi sono momenti in cui tutto è statico e altri in cui tutto si muove, si condivide e cresce e questo mi piace molto. È accaduto con il farro prima abbandonato per la sua scarsa produttività e oggi ovunque nuovamente utilizzato e osannato. Un giorno forse arriverà in Spagna il pane sciapo e il pane di farina di grano duro, amato non solo in Italia, ma anche in Marocco. In Italia forse acquisterà notorietà l’olio di Picual oggi quasi sconosciuto. La vita è sempre un pendolo.

Ha conosciuto i fornai di Roma?
Sì, molti di essi. Mi piace molto Pane e Tempesta. Solitamente riesco ad entrare nelle cucine dei ristoranti, nei forni, ma con la pandemia non è stato possibile. Sto organizzando, qui in Accademia, una tavola rotonda, o meglio un incontro tra panettieri per parlare del pane in Spagna e in Italia. Saremo sei o otto persone, verrà Max Alexander, una personalità del mondo della gastronomia e giudice di Master Chef. Ho invitato Pane e Tempesta e Forno Santi Sebastiano e Valentino, tre donne fornaie che hanno la loro panetteria vicino Villa Torlonia. Hanno anche un loro mulino per macinare la farina e un ristorante dove inseriscono piatti di pane nel menù. Mi esprimeranno il loro pensiero sul futuro del pane qui in Italia.

La Spagna ha dato i natali a Ferran Adrià, il padre della cucina molecolare, un innovatore. Con lui andare al ristorante è divenuta un’esperienza. Cosa accade oggi in Spagna? C’è un nuovo Ferran Adrià?
Ferran Adrià è una grande figura però altri cuochi avevano le sue stesse capacità, ma non hanno ottenuto lo stesso successo. Adrià ha creato la cucina molecolare, è stato espressione della gastronomia da ogni punto di vista: dell’arte, del gusto, del sapore, della fisica e della chimica. Questo ha fatto sì che anche in Italia e in Francia accadesse la stessa cosa. Oggi migliaia di persone guardano la cucina con occhi nuovi, si utilizzano nuove tecniche e non mi riferisco solo alle sferificazioni. Attraverso l’analisi molecolare è possibile scoprire che esistono molecole che producono effetti che fanno sì che due elementi distinti si sposino bene tra loro. Oggi c’è molto interesse anche per la fermentazione da parte di cuochi italiani, spagnoli e anche nordici. La fermentazione nasce in Oriente, ma sta entrando pienamente nella cucina occidentale e ciò mi sembra meraviglioso. I fermentati ci sono già nella cucina italiana e spagnola. Gli insaccati hanno fermenti. Il prosciutto spagnolo è fermentato, come il cioccolato, il vino, la birra e il pane. Ci sono tanti altri componenti che in Europa ancora non si utilizzano, ma è iniziata una lenta e sempre più grande rivoluzione. Dopo Ferran Adrià si stanno affacciando nuovi chef come Diego Guerrero e Ángel León. Quest’ultimo sta rivoluzionando la cucina. È conosciuto come lo chef del mare, fa insaccati con il pesce o con le sue interiora. Ha presentato a Harvard una zuppa fosforescente fatta con un granchio che lui stesso ha ricercato e che ora alleva. Andoni Luis Aduriz è molto concettuale, fa piatti meravigliosi. Per lui il cibo va oltre il semplice atto di mangiare. Ha addirittura creato un coltello in pietra da dare ai commensali per tagliare la carne. Pensa al suono che produce il piatto quando inserisci dentro il cucchiaio. Il mondo della gastronomia si fa sempre più sofisticato tanto che andare al ristorante si è trasformato in un atto quasi mistico. Nel laboratorio di Adrià, anche se El Bulli è chiuso, si continua ad operare e a fare ricerca. Collaborano chimici, fisici, ogni categoria di professionisti. Si ricerca e si analizza la gastronomia da ogni punto di vista. Anche in Italia ci sono grandi Chef. Io lavoro molto con la rivista Elle Gourmet in Spagna, tutti gli anni viene organizzata una festa all’Ambasciata italiana, vengono assegnati dei premi, l’ultimo anno è stato premiato uno chef italiano molto bravo. Per me sono importanti queste figure eccezionali, ma è importante che vi sia una cucina se non di altissima qualità perlomeno di alta qualità che permetta la nascita di questi grandi professionisti.

Ferran Adrià ha detto: <<Niente è come sembra>>. Le piace questa idea del cibo?
No, non mi piace questa idea di cucina. La sorpresa mi piace, ma non mi ispira l’idea di mangiare una mela che in realtà non è una mela, amo più farmi affascinare dal sapore del cibo. Ciò che ha reso grande la Spagna sono i sapori unici, non quella cucina che può presentarti un pomodoro che però nella realtà non è un pomodoro, ma un dolce. Insomma, questo è il tipo di cucina che non mi piace, amo invece le presentazioni spettacolari.

Ha mai mangiato a El Bulli?
Sì, una volta, ed è stata un’esperienza indimenticabile. Sono stato in molti ristoranti spagnoli e ho fatto esperienze gastronomiche molto speciali, anche in ristoranti che non sono nel circuito della Guida Michelin. Sono stato da poco a Bilbao al ristorante Asador Etxebarri, apparso in alcune importanti classifiche della gastronomia mondiale. È un uomo semplice capace di cucinare semplicemente alla brace carne e pesce con una finezza e una raffinatezza incredibili.

Chi è lo Chef italiano che preferisce?
Proverò l’alta cucina italiana quando tornerò con mia moglie. Oggi voglio fare solo la vita del borsista, anche perché la cucina di ricerca ha prezzi molto elevati. Ho una lista di ristoranti dove vorrei andare, in particolare mi piacerebbe provare Massimo Bottura.

Ama fare viaggi gastronomici?
Sì molto! Spesso mi invitano. Non molto tempo fa sono stato alla presentazione di Ángel León che ci ha fatto assaggiare tutte le sue creazioni. In particolare, un liquido da lui creato che a contatto con il pesce crudo solidifica in sale e cuoce leggermente il pesce. Una reazione chimica genera del calore che lascia però il pesce quasi totalmente crudo. Mi appassionano molto questo tipo di esperienze.

Lascia un commento