
Correva l’anno 1890 quando Pellegrino Artusi, muovendosi a cavallo, si fermava in semplici locande e mangiava “quel che passava il convento” in spartane osterie, gestite da semplici e burberi osti.
Oggi tutto è cambiato, abbiamo ancora le semplici osterie, tramutate spesso in trattorie, dove la cucina può essere anche di grande qualità.
Accanto alle trattorie vi sono i ristoranti gourmet, dove impera l’eleganza, la ricerca, la modernità nelle preparazioni e l’estro creativo e dove i cuochi, o meglio gli chef, sono i divi del momento.
Poi ci sono i critici gastronomici, spesso anche giornalisti, croce e delizia degli chef e poi abbiamo Luigi Cremona.
Un ingegnere “forse pentito”, a cui manca le fisic du rôle, per fare il critico gastronomico. Asciutto e longilineo, “smagrito da tirare su con un ovetto sbattuto” direbbero le nonne, ma con un palato unico e raro.
Luigi Cremona viaggia, assaggia, consiglia e recensisce e cosa assai rara e meritevole, scopre nuovi talenti.
A lui ho fatto qualche domanda sul cibo e con disponibilità questo mi ha risposto.
Probabilmente il primo critico gastronomico è stato Paolo Monelli, di lui si dice che abbia contribuito all’Unità d’Italia più di Garibaldi, lei si sente il suo erede?
No, per carità! Io non sono nessuno, Paolo Monelli è stato un grande come lo sono stati Mario Soldati e Luigi Veronelli. Io sono un ingegnere, non sono uno scrittore e non sono neppure un giornalista. Sono rimasto affascinato dal mondo del cibo quando l’ho avvicinato e sono andato avanti.
A parte la sua naturale modestia lei fa parte della categoria dei critichi gastronomici amati e temuti nello stesso tempo, pensa che cambierà in futuro, dopo l’epidemia, il vostro lavoro?
Io penso di no, come non cambieranno gli Chef. Ognuno deve conservare la propria identità spirituale. Spero che chi faceva cucina di ricerca continuerà a farla. Mi auguro che i valori rimarranno integri quanto più è possibile, anche se ovviamente qualche cedimento qua e là ci sarà, ma ci sarà tra coloro che sono meno forti nelle loro ideologie, e già prima di ora più duttili.
Nei ristoranti cambierà inevitabilmente il servizio, a causa del distanziamento sociale, ma cambieranno anche i piatti? Gli chef torneranno alla tradizione italiana anche se rivisitata, abbonderanno tutti gli ingredienti lontani, oggi quasi i protagonisti assoluti in molte cucine, per servirsi nell’orto davanti al ristorante, riannodando i legami con il territorio?
Per rispondere a questa domanda distinguerei tra moda e ricerca seria. Negli anni 80 imperversava la rucola, poi il fermentato. La moda esiste, poi c’è l’abuso, accanto a tutto questo c’è chi fa cucina seria a prescindere se il prodotto è a 3 metri o a 3000 Km. Bisogna sempre distinguere, quello che è vicino non è detto che sia il prodotto più buono. Bisogna sempre guardare con un occhio più oggettivo, altrimenti finiamo solo per riempirci la bocca con il Km zero. L’orto è un’ottima cosa, è una fortuna averlo, ma mai essere banali. E soprattutto dobbiamo ricordarci che non esiste la cosa buona in assoluto.
Le nostre DOP e IGP hanno bisogno, oggi più che mai, di essere sostenute e fatte conoscere, i critici e i giornalisti enogastronomici potrebbero divenirne gli ambasciatori, non concentrandosi più solo su chef e ristoranti?
Detto così la risposta è sì. Anch’io ho firmato “io resto in Italia questa estate”. E’ un momento di emergenza e quindi cerchiamo questa estate di rimanere in Italia e di consumare e spingere i prodotti e i vini italiani. Questo però deve essere limitato ad una situazione di emergenza e non può essere valido in generale. Viviamo in un mondo che è aperto e noi abbiamo interesse a vendere i nostri prodotti all’estero quindi saremmo poco credibili se mettessimo delle barriere ai prodotti altrui. In questo momento sosteniamo l’Italia, il Tricolore e quanto ci rappresenta, il più possibile, ma io sono sempre contrario all’assoluto.
I nostri prodotti non sono sempre i migliori, i nostri Consorzi non fanno sempre ciò che è giusto. Spesso dietro i disciplinari delle DOP si nascondono cose terrificanti che non vanno certo a favore della qualità. Se pensiamo al Bitto vediamo che oggi nel Consorzio mancano i produttori del Bitto storico. Queste DOP spesso hanno allargato il territorio, badando più alla quantità che alla qualità, e non rappresentano più la vera eccellenza e non sono più rispondenti a quello che era il progetto originario. Poi ovviamente ci sono le eccezioni. Il critico e il giornalista però devono sempre battersi per la qualità e riservarsi un giudizio critico.
I giovani oggi conoscono solo due sapori il dolce e il salato. Mangiano in locali spersonalizzati. Scelgono cosa mangiare guardando una foto, cosa si può fare?
Conta soprattutto la cultura gastronomica, data anche dalle frequentazioni. Credo comunque che oggi si mangi meglio rispetto al passato, quindi non possiamo dire di essere regrediti. E’ indubbio che i giovani, per moda, tendono ad appiattirsi su certi gusti, però direi non tanto sul salato, ma più sull’agrodolce, che ha molto successo e che arriva dalle cucine orientali. Questa tipologia di gusto va perseguita più che criminalizzata, cercando dei modelli che siano più sensati. Però anche qui non sarei pessimista. Pensiamo alla pizza, sulla quale si basa in larga parte la ristorazione esterna delle famiglie italiane, che oggi si consuma dieci a uno rispetto a dieci anni fa. Un alimento buono a prezzo contenuto. La gente comunque deve possedere la cultura gastronomica che gli permetta di scegliere un prodotto ricercando la qualità e non solo il prezzo più basso.
In televisione “c’è tanto cibo”, ma è solo spettacolo, non è il vero protagonista, cosa si dovrebbe trasmettere perché sia vera cultura gastronomica?
Non sono un esperto di Tv, non guardo solitamente programmi di cibo, ma qualcosa in più si potrebbe fare sicuramente. Si potrebbero evitare quelle trasmissioni che cercano il facile effetto e la battuta anche perché la cultura generale media del popolo italiano, rispetto a venti anni fa, è molto migliorata per quanto riguarda il vino, il cibo e la valutazione degli ingredienti. Quando ho iniziato a fare il mio lavoro si parlava solo di vino bianco o rosso, con un solo bicchiere sul tavolo, salvo rarissime eccezioni. Io penso e spero che ci sia la possibilità di alzare il tiro anche su una Tv generalista.
In queste notti divenute improvvisamente tanto lunghe quale libro c’è sul comodino di Luigi Cremona?
I libri sono due, io sono ingegnere e sto leggendo L’universo elegante di Brian Greene, un saggio scientifico sulla teoria delle stringhe, che alterno con La ladra di frutta di Peter Handle, Premio Nobel di quest’anno. Amo molto leggere, ma non libri di cucina.
foto gentilmente offerta da Luigi Cremona
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