Roma, quartiere Parioli, piazza Euclide, Grand Hotel Ritz, Le Roof, lo chef Gaetano Costa.
Come in una ricetta, tanti ingredienti di qualità, che non possono non portare a un risultato perfetto.
Gaetano Costa, pacato, sicuro, elegante, uno chef moderno, dotato di stile, tecnica, competenze manageriali, uno Chef a tutto tondo.
Una lunga intervista, impossibile da tagliare, iniziata, come spesso accade, con poche domande, ma poi divenuta quasi un racconto, fatto di profumi, di affetti, di luoghi, di emozioni e anche di suoni.
La sua cucina, calda, solare, colorata, italiana insomma, con quel tocco di sud, che piace tanto all’estero.
Quando è nata la sua passione per la cucina e qual è stata la sua formazione?
Tutto è nato durante una visita alla scuola alberghiera, che poi ho frequentato a Ottaviano, in provincia di Napoli. La cucina permette, a chi ha una tendenza creativa, di sfogare liberamente la propria creatività. La prima formazione è avvenuta durante il periodo della scuola con gli eventi organizzati dai professori, poi le stagioni in varie strutture. Negli anni 90, i villaggi Valtur e Club Med. Poi Roma, prima una breve collaborazione con il Parco dei Principi, poi l’Aldrovandi Palace, infine quello che allora consideravo il mio punto di arrivo, il Majestic. Poi un ristorante che portava il mio nome a via Sicilia, poi ancora per due anni, con il gruppo Boscolo, con la gestione del ristorante dell’Hotel Aleph a via di San Basilio.
Ora qui, al Grand Hotel Ritz, Le Roof, dove sono partener e socio per ciò che concerne la ristorazione.
Chi sono oggi i suoi clienti?
Un po’ tutti, i gourmet, gli uomini d’affari, ma anche le famiglie, le aziende per grandi eventi. Ma Le Roof vuole essere anche un ristorante romantico, con toni bassi, eleganza e classe.
Un piatto che le ricorda la sua infanzia?
Le polpette con il sugo che cucinava mia madre. Ricordo ancora che mi svegliavo la domenica mattina con il profumo di ragù che invadeva la casa. Un ragù di lunga cottura che aveva inizio alle dieci del mattino e terminava alle due del pomeriggio. Noi bambini, durante l’attesa, spesso avevamo fame, allora mia madre, per evitare che andassimo a pasticciare nelle pentole, prendeva il tozzetto del filone di pane, lo svuotava della mollica, questa la bagnava nel sugo che stava cuocendo, un po’ di sugo lo metteva all’interno del pane e ce lo dava da mangiare. Ancora oggi, quando torno a casa, mangio le polpette con le cotiche e le braciole, che a Napoli sono gli involtini con uva passa e pinoli.
A casa cucina lei?
Assolutamente no! Perché il cibo lo gusta maggiormente chi non cucina. Pensiamo alla mamma, lei cucina, ma è la famiglia che gusta. La mamma si sazia con i profumi, arriva a tavola che ha già pregustato. L’attesa, di per sé, è una festa.
Cosa mangia quando è a casa?
Mangio tutto ciò che è veloce. Un pezzetto di formaggio, un salume buono, un po’ di pasta, dei tortellini, a volte la pizza. Non c’è un piatto che amo in maniera particolare.
Lei è goloso?
Goloso no, mi piace il buon cibo, mi piace mangiare bene, e quando sono felice anche tanto.
Cosa c’è della sua terra nei suoi piatti?
La semplicità nell’esecuzione e la purezza delle materie prime, senza stravolgimenti e senza coperture.
La sua cucina in tre parole?
Italiana, semplice e moderna.
Italiana perché credo nella leadership dei prodotti italiani, penso sia inutile cercare altro quando si hanno i migliori prodotti in assoluto. Semplice, perché quello che arriva nel piatto è quello che voglio che giunga a livello gustativo, il tutto servito con eleganza e in modo impeccabile. Moderna perché non utilizzo le lunghe cotture della cucina classica e dei grandi maestri Artusi e Carnacina.
Come nasce un piatto e poi un menù?
Per creare un piatto devo avere fame, se sono sazio non riesco a esprimermi. Se sono stanco non riesco a comporre una carta neppure in una settimana, mentre invece se sono brillante può nascere anche in dieci minuti. Se sono felice creo un bel menù, se sono triste creo un menù piatto, senza colore. Solitamente penso a un ingrediente, poi parte un vortice a livello mentale, considerando i vari elementi che possono essere la stagionalità, la varietà dei piatti, la tendenza del periodo, ma anche ciò che in quel momento vorrei mangiare. Una carta per soddisfare l’ospite deve essere completa e si deve comporre di vari elementi.
Quando un nuovo piatto esce dalla cucina cosa accade?
Quando ero più giovane, quindi più esuberante, sbirciavo per cogliere il body language dell’ospite, anche se a volte può ingannare. Oggi è diverso, sono spessissimo in sala perché credo sia fondamentale.

Fuso di pollo agli scampi con spinaci brasati
Il suo piatto emblematico ?
Per tecnica direi il pollo agli scampi, moderno nel concetto in quanto ho assemblato due prodotti di natura diversa, cucinandoli insieme e trovando un equilibrio.
E’ stata un’intuizione positiva, oggi è un piatto che gira il mondo, molto amato anche in Giappone. Si può dire che vinci quando il piatto piace a tutti.
Questo piatto è nato per caso o vi è stato una grande studio?
E’ nato per caso, come accade spesso per le cose belle. Ricordo che avevo fame, ma il cuoco molto spesso non ha molto tempo per mangiare, erano rimasti questi due ingredienti di natura diversa nelle padelle, e in quel momento ho pensato che poteva nascere un piatto. Quando poi l’ho creato materialmente ho legato a livello papillare pollo e scampi, con una salsa ottenuta dalle ossa del pollo e dalla testa degli scampi. Quindi, prima nasce l’idea, poi intervengono le conoscenze tecniche e infine l’esperienza che permette di immaginare il gusto finale ancor prima di crearlo.
Essere arrivato non imbriglia la sua creatività?
Non sono arrivato, sono noto. Uno Chef non è mai arrivato, perché ogni giorno deve proteggere il traguardo che ha raggiunto. Posso dire che oggi sono più libero di un tempo, quando ero più giovane creavo con il desiderio di piacere. Quindi posso dire che, se essere arrivati significa fare ciò che piace, allora io sono arrivato.
“Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”. Questa è una frase di Confucio è così anche per lei?
Posso dire di non aver ancora iniziato a lavorare. Fare ciò che piace, ma non per il bisogno di farlo, è la più grande fortuna che un uomo possa avere.
Sorprendere o emozionare in cucina?
Sorprendere emozionando. Ambedue sono affini in questo tipo di espressione, sono due componenti che devono coesistere.
La cucina è arte?
La cucina è arte, ma lo è, per me, tutto ciò che è espressione. Lo è tutto ciò che arriva ed è notato, vuol dire
che c’è qualcosa di magico, che c’è energia.
Qual è il colore della cucina?
Giallo perché è estro e fantasia. Si può confondere con il rosso della passione, ma la passione spesso fa sbagliare. Quindi per me è giallo.
Quale stagione culinaria preferisce?
In questo momento direi l’autunno perché sono stanco del caldo. L’autunno mi fa pensare al bicchiere di vino rosso che bevo a casa, quindi al calore della famiglia, alla passeggiata nel bosco, alle castagne da sbucciare, ai funghi porcini, al tartufo, alla nebbiolina che ti spinge a cercare un rifugio.
Quale cucina estera preferisce?
Sono tutte molto interessanti. La cucina francese mi piace molto, ma amo anche i profumi mediorientali. Spesso compongo carte che si spostano geograficamente, con sapori lontani da noi.

L’uovo Gaetano Costa
Qual è il piatto di Gaetano Costa che i clienti stranieri amano di più?
L’uovo che ormai è divenuto un must, anche perché tutti noi Chef giochiamo a crearne uno nostro.
L’uovo Gaetano Costa è uovo cotto in camicia, glassato con una fonduta al tartufo, su una base di spinaci in purezza, rifinito con delle patate per dare croccantezza.
Un amico nel mondo della cucina?
Francesco Apreda.
Uno chef straniero?
Mi piacciono un po’ tutti perché hanno una forma di espressione netta. Mi piace Roy Caceres perché è estroso e perché stupisce. Mi piace per la sua continua ricerca, per la sua capacità di sfornare sempre nuove idee. Heinz Beck e Oliver Glowing mi piacciono, invece, per la loro continua ricerca della perfezione, anche nella forma.
Ma questi sono solo alcuni degli Chef stranieri che apprezzo.
Uno chef emergente che forse le ricorda lei quando era più giovane?
Sinceramente nessuno mi colpisce in modo particolare, ma credo che dipenda dal fatto che oggi si parla tanto di cucina e quindi tutti vorrebbero arrivare velocemente senza farsi un’esperienza sul campo, quella che poi dà solidità. La cucina non è solo avere estro creativo, oggi uno chef deve essere anche un manager, altrimenti è destinato a fallire.
Tra gli Chef esiste scambio reciproco?
Esiste scambio di informazioni sul personale, ma non sulle ricette, spesso quando ci incontriamo andiamo a bere, non parliamo di lavoro. Quella degli Chef è una grande e bella community, è una professione che ti permette di spostarti in qualsiasi parte del mondo e trovare un lavoro, questo rende tutti meno gelosi.
Cucina e social media, qual è il suo pensiero?
Tutto ciò che è comunicazione non va bene, va benissimo, ma con regolarità, con misura, con moderazione, con un linguaggio giusto, in linea con il prodotto, solo così è vincente.
Tante soddisfazioni, ha ancora un sogno nel cassetto?
Tante soddisfazioni sì, ma ancora tante vorrei averne. Tanti sogni, anche uno in particolare, ma quello glielo svelerò quando si sarà realizzato. Bisogna sempre sognare, bisogna sempre progettare, perché quello è il motore per andare avanti.
Molto interessante questa intervista, vien voglia di provare la cucina di Gaetano Costa, che ancora non c onoscevo.
Grazie!
Oltre la cucina che a te piacerà sicuramente molto bella è la terrazza. Presto verrà aperta la sala da tè, lo Chef Gaetano Costa è un appassionato, spero che un pomeriggio vorrai accompagnarmi.