Per incontrare Andrea Riva Moscara sono salita lassù, fino quasi a toccare il cielo, su una delle più belle terrazze romane, quella del Giuda Ballerino.
Andrea, giovane, ma già con tanti dolci e concreti progetti, con la magia dell’eterno bambino che hanno sempre i pasticceri, i creatori di soffici golosità, che ti fanno salire sul loro tappeto volante fatto di zucchero, crema e cioccolato e ti fanno sognare.
Qual è stata la sua formazione?
Dopo il liceo scientifico, durante l’università, quando mancavano tre esami alla laurea in economia ho deciso di frequentate un corso di pasticceria alla scuola “A tavola con lo Chef” e da quel momento ho deciso di assecondare la mia passione. Ho capito che era ciò che realmente volevo fare, e quindi dopo una serie di stage formativi ho iniziato una collaborazione come docente alla “Boscolo Etoile Academy”. Poi, come pasticcere, un periodo al Four Seasons Hotel and Resorts a Firenze, in seguito da Settembrini a Roma, e infine il Giuda Ballerino.
Chi può considerare il suo maestro?
Ho avuto la fortuna di avere due maestri. Nazzareno Lavini, docente presso “A tavola con lo Chef”, che mi ha insegnato le basi della pasticceria, grande competenza, mai sotto i riflettori, uno dei pochi a saper utilizzare le antiche tecniche di pasticceria come la lavorazione a cornetto, che quasi più nessuno è in grado di fare. Poi Gianluca Aresu, ci siamo incontrati alla “Boscolo Etoile Academy”, ha notato la mia passione per il cioccolato, ha subito creduto in me, oggi è il mio maestro non solo di pasticceria ma anche di vita.
Il dolce che amava di più da bambino?
La crema pasticcera di mia nonna, se chiudo gli occhi rivedo ancora le ciotoline di vetro che aveva in frigorifero e ne ricordo ancora il sapore. Non è la crema pasticcera che mangio oggi, aveva tantissimo limone, era farinosa in bocca, però è quella con cui sono cresciuto.
Il dolce che ama di più oggi?
Mi verrebbe da dire l’ultimo che ho creato, ma in realtà il tiramisù.
Lei è goloso?
Sì sono goloso, ci sono giorni in cui non smetterei mai di mangiare dolci.
Descriva la sua pasticceria in tre parole.
Poco dolce, perché il troppo zucchero rende la preparazione stucchevole. Io voglio che il mio dessert venga ricordato come la coccola che chiude il pranzo.
Con un colore ben definito, un’identità, ma non necessariamente colorata.
Con l’effetto Wow, perché ogni mia creazione deve ricordare un qualcosa, deve nascondere un sapore che si manifesta a sorpresa e quando l’ospite la assaggia deve dire: “Wow è un gran dolce”.
Come e da dove le arriva l’ispirazione per un nuovo dolce?
Spesso l’ispirazione arriva da una immagine, come è accaduto con l’ultimo dolce che è in carta, “After eight 2.0”. Una passeggiata, un tronco caduto, qualche foglia secca, da questa visione è nato il desiderio di creare una storia fatta di tanti sapori. Quando il mio dessert arriva in tavola, io spero che l’ospite dica: “Wow che bello! Wow che buono!”, ma anche che il primo sguardo evochi in lui un qualcosa che lo spinga a immaginare e magari lo trasporti in un mondo incantato. La pasticceria è anche questo.
Sorprendere o emozionare, qual è più importante in pasticceria?
Emozionare, perché poi, quando si riesce ad emozionare, nello stesso tempo si sorprende.
Qual è la migliore pasticceria del mondo?
Per gusto, la pasticceria italiana, in questo l’Italia non ha rivali; per estetica, invece, sicuramente la pasticceria francese.
La pasticceria è arte?
Sì lo è, ma deve esserci anche il gusto. Io vengo da una famiglia di artisti e la pasticceria mi permette di esprimere quel lato creativo che è in me.
Il suo dolce emblematico?
Il profiteroles, nero assoluto, lucido, con una parte croccante sui bignè, data da un dischetto di croquelin, un impasto di zucchero di canna, farina e burro in percentuali quasi simili.
E’ un dolce che mi rispecchia un po’! Cioccolato fondente, una parte esterna dura e croccante, come la scorza che mi sono creato, perché il mondo della cucina non è un mondo facile, bisogna sapersi difendere. All’esterno una corazza, ma dentro, che sia crema, o che sia panna, il cuore morbido c’è sempre.
Le caratteristiche che deve avere un buon pasticcere?
Deve avere una buona conoscenza della pasticceria di base, deve avere estro, ma soprattutto una buona memoria gustativa.
Che colore hanno per lei i dolci?
Giallo, un giallo carico, che quando lo vedi ti dà piacere. Come la fiamma di un camino d’inverno, gialla tendente all’arancione, fuori piove, fa freddo, ma la guardi e stai bene. Questa è la sensazione che danno a me i dolci.
Cosa raccontano le sue creazioni?
Le mie creazioni sono un viaggio per me che le ho create e voglio che lo siano anche per gli ospiti che le gusteranno.
Il dolce che i clienti stranieri del Giuda Ballerino amano di più?
Il tiramisù.
L’ingrediente che ama di più?
Il cioccolato in tutte le sue forme.
I piatti dello Chef Andrea Fusco mi piace definirli come delle capriole di sapore, il suo modo di cucinare influenza le sue creazioni?
In qualche modo sì, io seguo la linea dello Chef, non mi piace che vi sia un distacco netto, ma soprattutto non mi piace che la cucina e la pasticceria appaiano come due entità diverse. Quando creo un dessert glielo presento, lui mi dà quel consiglio che mi cambia il piatto, perché io ho trent’anni e lui trent’anni di esperienza.
Se le chiedessi di creare un dolce che rappresenti l’Italia, cosa preparerebbe?
Creerei un dolce bello, sarebbe il dolce più bello del mondo, ma con una forte nota amara, che però non risulti fastidiosa. Un gusto non facilmente riconoscibile, una massa di cacao, un po’ di fava tonka, vorrei che chi lo mangia pensasse, questo dolce è sì bellissimo, ma ha qualcosa che non va, ma non so cosa. Un dolce come l’Italia…
Credo che nessun uomo al mondo o quasi, trascorra un solo giorno della sua vita senza aver assaggiato qualcosa di dolce, ma allora perché la pasticceria non è al momento sotto i riflettori tanto quanto la cucina?
Forse perché raramente accade che gli Chef lascino ai pasticceri la libertà di esprimersi liberamente e quindi di emergere. Qui invece, al Giuda Ballerino, lo chef Andrea Fusco ha fatto un passo indietro, e mi ha permesso di mettere il mio nome in carta..
Cosa pensa della chimica in pasticceria?
Bisogna cercare di utilizzarla con misura, ma, vista l’evoluzione che ha avuto la pasticceria nel corso degli ultimi anni, non se ne può fare a meno in alcuni tipi di preparazioni.
Progetti per il futuro?
Vorrei insegnare, il mio desiderio è trasmettere agli altri ciò che ho imparato e che so. Mi piacerebbe anche scrivere un manuale, non un libro di ricette, ma un manuale dei perché in pasticceria.
La invito a fare un salto nel tempo, dove si vede tra dieci anni?
Avrò quarant’anni, quindi sicuramente con una famiglia. Vorrei una famiglia tradizionale, per me è la cosa più importante, come lo sono oggi mio padre, mia madre e mia sorella. Professionalmente, invece, vorrei essere un maestro per qualcuno, un punto fermo, come lo è oggi per me Gianluca Aresu.
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