
Ego Bistrot, un delizioso ristorante che guarda i tetti di Roma, Andrea Quaranta il suo Chef.
Una cucina, la sua, che lentamente naviga verso mondi e sapori lontani. Esperienze e sapienze che ricerca, accoglie e sperimenta, con un’intima e continua ricerca del “nuovo”. In lui entusiasmo e passione, sentimenti celati, per nulla ostentati.
Andrea Quaranta, una rarità, in un mondo, quello della cucina, ormai dominato dalla competizione nuda e cruda. Una lunga intervista, che sicuramente mancava, per conoscerlo meglio, per apprezzarlo, ma anche per esplorare i mondi dell’estro e della creatività.
Chi è Andrea Quaranta?
Un ragazzo con la passione per la cucina fin da piccolo, che poi ha deciso di frequentare l’alberghiero per poi approdare a Roma a fare lo chef.

Mi descriva il suo ristorante Ego Bistrot.
Ego Bistrot è un punto d’incontro, dove la tradizione culinaria italiana si contamina con influenze che arrivano dall’India, dallo Sri Lanka e dal Bangladesh, ma anche con qualche preparazione giapponese e coreana, per la passione che ho per la cucina asiatica.

Da dove arriva l’ispirazione per un nuovo piatto?
A volte parto da un ingrediente, magari insolito, e provo a valorizzarlo il più possibile. Oppure l’idea può nascere da un film, da uno spot pubblicitario o anche da un’opera d’arte.
Le piace più creare o cucinare?
Creare, mi piace quando da una mia idea, dalle mie mani, nasce qualcosa di nuovo.

La ricerca del piatto da creare le provoca ansia da prestazione?
A questo punto della mia carriera no, ho intrapreso la strada della ricerca del piacere sul lavoro, e non il lavoro per il raggiungimento di un obiettivo.

Con il passare degli anni, lo stress continuo può esaurire l’estro creativo?
Non credo, la creatività prende spunto dallo studio continuo, dalla ricerca di nuovi prodotti, dalla sperimentazione.

I giovani sono più creativi?
Forse hanno un pizzico di spavalderia in più, chi cucina da anni ha più ansia, può soffrire un affaticamento che appesantisce la leggerezza che si ricerca in un piatto.
A una Stella ricamata sulla giacca pensa mai?
No, non ci penso, se viene, viene. In questo momento cerco di fare un buon lavoro e creare una squadra coesa, solo questo.

Chi è stato il suo maestro?
Andrea Fusco. Da lui ho appreso la capacità organizzativa durante il servizio e la gestione dei tempi in cucina. Ha una profonda conoscenza dei prodotti e ha fatto nascere in me la voglia di studio e ricerca. Lavora molto con i prodotti del Lazio e pur muovendosi in un cerchio molto ristretto riesce a trovare sempre qualcosa di nuovo.

Il filosofo Ralph Waldo Emerson ha detto: “Solo un inventore sa prendere in prestito un’idea”. Lei a chi si ispira?
Agli inizi del mio lavoro mi incuriosivano molto le ricette di Pellegrino Artusi, preparazioni che ormai si sono un po’ perse. Oggi posso dire che non c’è un cuoco al quale mi ispiro, ho sempre cercato di seguire Chef capaci di valorizzare al massimo la materia prima. Tra tutti quello che preferisco è Niko Romito che riesce, con due o tre ingredienti, a creare un piatto che è un’esplosione di sapore, come l’Assoluto di cipolla.

Le chiedo di fare una previsione, come sarà la cucina del futuro?
Credo che si tornerà alla tradizione. Ricette dimenticate verranno riportate alla luce e saranno realizzate con tecniche innovative.

Nato in Trentino, cresciuto in Liguria, formato nel Lazio, quale delle tre cucine regionali preferisce?
La cucina laziale è quella che ha influenzato maggiormente la mia cucina. Dalla cucina ligure ho preso la varietà di ricette e i tanti ingredienti, la Liguria ha mare, montagna e campagna. Del Trentino resta molto poco, solo qualche ricordo di estati passate lassù e il sapore della polenta con la cacciagione.

Cosa mangiava a casa sua da bambino? La invito a chiudere gli occhi e ad andare indietro nel tempo, cosa c’è sulla tavola e che profumo sente?
Mia madre, pur lavorando, ha sempre trovato il tempo per cucinare. Preparava la pasta fresca, gli gnocchi, lo strudel. Ancora oggi, ogni volta che torno a Imperia, prima di ripartire, le chiedo di prepararmi lo strudel.
Sulla tavola rivedo di canederli, piatto trentino, fatti con il pane raffermo, lo speck, il prezzemolo, la cipolla, cotti nel brodo di carne. Il profumo è quello del soffritto, lo stesso anche quando cucinava mio padre, lui ha origini calabresi quindi la sua cucina è forte e speziata.

Chi è la donna che vive accanto a lei?
Ci siamo conosciuti tramite il Giuda Ballerino. Lei mi ha aiutato nel mio processo di cambiamento dal punto di vista lavorativo. All’inizio della carriera, mentre cercavo di raggiungere il mio obiettivo ad ogni costo, alcune strade si sono chiuse e ci sono state delle critiche forti, tanto da spingermi a pensare che il lavoro che stavo facendo non era meritevole. Lei mi è stata accanto e ha sempre cercato di farmi capire che il mio lavoro non era poi così male. Le piace mangiare, ha un buon palato, forse mi ha scelto anche per questo.
Oggi credo che le faccia piacere vedermi soddisfatto del lavoro che faccio, con uno sguardo diverso quando rientro a casa la sera.
Passione dedizione e poi?
Ricerca continua.

Un cuoco è bravo quando?
Quando il cliente lascia il ristorante sorridente e ringrazia per l’esperienza vissuta.

Chi è il più bravo oggi?
Uliassi. A me piace molto anche Antony Genovese, una cucina nella quale entrano tante contaminazioni estere.
A vent’anni si può essere bravi in cucina, oppure sono necessari anni e anni di studio e lavoro?
Credo che si possa essere anche molto bravi. Chi riesce ad esserlo è speciale. Possiede quel qualcosa in più che va oltre l’esperienza e le ore di studio. L’idea è il qualcosa in più, il concetto che c’è dietro il piatto. Ovviamente la preparazione deve essere eseguita in maniera impeccabile e deve essere anche buona, ma chi è creativo riesce a stupire, riesce a creare la tendenza che anche gli altri chef seguiranno.

Oggi, mancato Marchesi, chi è il caposcuola?
Massimo Bottura è lui l’ambasciatore, colui che riesce a influenzare la cucina italiana.

Perché Andrea Quaranta non è uno chef social?
Non sono social perché non è fondamentale per questo lavoro, o meglio, fino ad oggi, io non l’ho visto come fondamentale, invece lo è. Non ho mai amato essere io davanti al mio piatto, alla mia cucina. Questo mi ha in qualche modo danneggiato, ora sto cercando di cambiare, anche se di fondo sono fatalista, credo che nella vita le cose accadono se devono accadere.

Il cibo che colore ha?
Verde scuro, come la naturalità alla quale stiamo lentamente tornando.
Qual è il rumore del cibo?
Il croccante.
Quale musica entra solitamente nella sua cucina?
Ascolto musica classica e jazz, generi che arrivano da Andrea Fusco, dal Giuda Ballerino. Allora non immaginavo che con il tempo mi sarebbero piaciuti o che mi avrebbero aiutato nel mio processo creativo.

Un momento di nostalgia cosa mangia?
La trippa con i fagioli, che piaceva anche a mio padre.

Un momento di tristezza cosa mangia?
Un dolce con il cioccolato fondente.

Quando è felice cosa mangia?
Un piatto di crudo di pesce.

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