Nel cuore di Villa Borghese, l’oasi verde opera di Jacob More, l’Albergo Aldrovandi riceve i suoi ospiti con “antica grazia e moderno confort”. In esso racchiuso il ristorante Assaje, Stella Michelin.
Assaje è un insieme di linee pure. Tanto grigio e un tocco di nero, un connubio perfetto di eleganza e stile. Una sala dove una dissolvenza di luce e di ombre crea un ambiente intimo e sofisticato.
Fuori invece, un giardino traboccante di fiori accoglie nella bella stagione e non solo, perché a Roma, si sa, splende sempre il sole. I cuscini delle sedute, nei toni della lavanda e dell’indaco di Persia invitano al relax e regalano allegria. La piscina, ritagliata nel verde, dona freschezza all’insieme.
A faire les honneur de la maison Carmine Renzulli, Restaurant manager. Ospitale, garbato, gioioso, un’eleganza di altri tempi la sua, anche nella vita, ma una modernità nel servizio, un’attenzione all’ospite, che meraviglia e lusinga. Così si è raccontato, e così ha raccontato la sua professione che oggi, spesso, resta celata.
Come si fa a divenire Restaurant manager di un albergo di prestigio come l’Aldrovandi Villa Borghese?
Con tanto studio e tanto lavoro sia in Italia che all’estero. Durante e dopo la scuola alberghiera ad Avellino le esperienze sono state tante. Le stagioni estive sulla Riviera Adriatica, in Olanda a soli 20 anni come Chef de rang. Poi in Inghilterra al Metropolitan, a seguire 2 anni al Petrus con Gordon Ramsay. Poi nuovamente in Italia al Romeo di Napoli, al Capri Palace e 2 anni a Milano durante l’Expo. Qui con Oliver Glowig, all’Imàgo dell’Hassler e anche un master di Food & Beverage Management alla Luiss. Questo per approfondire la conoscenza della gestione degli approvvigionamenti, dei costi, del marketing e della comunicazione.
Lei ha avuto un maestro?
Posso dire di aver incontrato nella mia carriera professionale tre persone che hanno cambiato la mia visione di questo lavoro. In Olanda, Paolo Alvarato, che mi ha aiutato ad approfondire le mie conoscenze della cucina italiana classica e delle carte dei vini regionali. In Italia, Fabio Raucci, Food e beverage Manager del Capri Palace Hotel e Francesco Mussinelli, Hotel Manager dell’Aldrovandi. Queste persone più che dei maestri sono stati dei punti di riferimento e di ispirazione, un esempio da seguire per fare sempre di più e meglio.
Un buon manager di sala quali caratteristiche deve avere e quali sono invece quelle che sarebbe meglio non avesse?
Deve essere disponibile, aperto e paziente, deve avere spirito di sacrificio, perché questa è una professione molto impegnativa, noi coccoliamo chi viene nel nostro albergo tutti giorni, da quando si alza al mattino a quando va a dormire la sera. Ma soprattutto deve avere la capacità di creare un’empatia con l’ospite.
Al contrario non deve essere chiuso, fermo, non deve avere la presunzione di aver imparato già tutto, perché questo è un mestiere in continua evoluzione. La professione è cambiata, un tempo i camerieri si rivolgevano al maître dandogli del lei. Oggi i miei ragazzi mi chiamano Carmine, perché credo che il rispetto non lo si può pretendere, ma lo si deve guadagnare con l’esempio. Come amano dire gli inglesi “to lead by example”, guidare attraverso l’esempio.
Quante persone lavorano nella sala di Assaje?
Oltre me e il mio stretto collaboratore Alessandro Iaccarino, sette camerieri, un sommelier e una hostess.
Come si fa a creare coordinazione, ma soprattutto affiatamento?
Creare una squadra è difficile, ma lo è in qualsiasi campo. Portare le persone a pensare con la propria testa, ma agire tutti nello stesso modo non è facile, però ci si può riuscire. Il manager di sala deve cercare di comprendere chi sono le persone che lavorano con lui, deve dialogare con ognuna di loro in modo diverso, ma soprattutto deve saper ascoltare. Non bisogna dimenticare che sotto ogni uniforme c’è un uomo o una donna e se si riescono a prenderne le qualità umane e trasportarle in una squadra, questo arricchisce tutti e porta al successo.
Appena arrivati a Roma e subito il premio della Stella Michelin, come ci siete riusciti?
Si è creata subito un’alchimia, una squadra coesa sia in cucina che in sala, ma soprattutto c’era in tutti noi una grande voglia di riuscire, e il duro lavoro ripaga sempre.
Quindi lei è soddisfatto del lavoro fin qui svolto?
Posso dire di essermi impegnato al massimo, di aver sempre cercato di non abbattermi nei momenti di difficoltà, di non aver avuto timore a cambiare alcuni elementi non adatti al nostro tipo di lavoro. Tutto questo l’ho fatto attraverso un confronto continuo con le persone che lavorano con me. Noi ci riuniamo ogni giorno prima del servizio, esaminiamo le prenotazioni in previsione degli ospiti che verranno e del tipo di esperienza che questi vogliono vivere, una cena di lavoro, un compleanno, un incontro tra due persone che stanno festeggiando qualcosa di particolare. Ma soprattutto ci riuniamo per capire se ci sono stati degli errori e come possiamo evitare che si ripetano. Importante è per me la formazione dei miei ragazzi, dico sempre loro di essere curiosi, di cercare di capire cosa c’è nel piatto e di trasmetterlo all’ospite. Noi abbiamo una Stella Michelin, chi viene da noi ha delle aspettative, noi dobbiamo soddisfarle, ma se è possibile anche andare oltre. Dobbiamo fare in modo che l’ospite porti con sé non solo il ricordo del cibo, ma anche dell’esperienza che ha vissuto. Un buon piatto mal portato rovina tutto irrimediabilmente.
Oggi tutto è divenuto informale, questo secondo lei ha penalizzato il lavoro della sala?
No, non credo, la professione è divenuta solo più moderna. Ovviamente l’informalità non deve essere mancanza di professionalità. Semplicemente un cameriere oggi deve essere una presenza discreta, deve avvicinarsi al tavolo solo quando c’è realmente bisogno, e lasciare che l’ospite si rilassi e si goda la serata.
E’ innegabile che i cuochi hanno tolto luce alla sala, cosa si può fare?
Devono essere in primo luogo gli Chef importanti e conosciuti che devono far passare il messaggio che la sala è importante quanto la cucina, che è necessario dare valore a ciò che ha fatto la storia di questo mestiere. Lavorando tanti anni all’estero ho potuto riscontrare che il cameriere italiano è il migliore.
Ma è importante che anche i mezzi di informazione del settore spostino la loro attenzione dalla cucina alla sala, perché quest’ultima è complementare, non può esistere una cucina di qualità senza una buona sala.
Un grande Chef ha bisogno di un grande restaurant manager?
Non direi grande, ma capace. Tra le due figure professionali deve esserci una grande sinergia. La sala sta vivendo un momento di crisi profonda dovuta anche alla riforma dei programmi della scuola alberghiera. Oggi si vuole dare ai ragazzi una buona base culturale, che è sì molto importante, ma che non permette loro di approfondire, come sarebbe necessario, la formazione tecnica e professionale. Quando ho frequentato io la scuola alberghiera il programma prevedeva venti ore di pratica alla settimana, oggi solo quattro. Quindi spesso i ragazzi non sono in grado di fare una mise en place, un fondo bruno, o anche un Martini cocktail, mancano loro le basi della professione.
Luigi Carnacina ha detto che per intuire i desideri della clientela d’elitè bisogna aver messo pasta e fagioli davanti operai e vetturini. Lei è d’accordo?
Nella vita lavorativa esistono dei passaggi obbligati che non si possono saltare. Nella mia formazione sono stati basilari i pranzi di matrimonio con 300 persone da servire. Persone semplici, come possono esserlo anche i miei genitori, quindi mi trovo d’accordo con il maestro Carnacina.
Nel vostro ristorante c’è sempre un tavolo libero per un ospite di riguardo inatteso?
No non c’è, ma se durante la serata abbiamo questa sorpresa, siamo felici di accoglierlo al meglio, come facciamo d’altronde con tutti i nostri ospiti.
Chi sono i vostri clienti?
In una città come Roma è il mondo che viene a mangiare da noi.
Ogni tavolo si dice racchiuso in una bolla invisibile, come si fa a capire cosa desidera un ospite?
L’esperienza, frutto di tanti anni di lavoro, permette di comprendere, dopo qualche minuto di conversazione al tavolo, i desideri dell’ospite. La mise en place è sempre la stessa mentre l’ospite è sempre diverso e porta con sé i suoi usi e costumi. A volte è curioso di approfondire la conoscenza del cibo che ha ordinato, altre volte vuole mangiare velocemente e scappar via. Altre volte ancora ha un approccio gourmet, come spesso accade con gli ospiti italiani, francesi e spagnoli e allora è possibile rispettare una sequenza di servizio, mentre invece spesso questo non è possibile quando l’ospite non sa neppure cosa sia una Stella Michelin. La nostra abilità sta nel riuscire ad anticipare i loro desideri affinché possano vivere un’esperienza da ricordare.
Via da Assaje per una sera, dove le piacerebbe lavorare?
All’Osteria Francescana, perché Beppe Palmieri è un punto di riferimento per chi fa questo mestiere.
Lui è l’unico che è riuscito a ottenere 3 Stelle Michelin senza che nel suo ristorante vi sia un servizio ingessato.
Negli ultimi 20 anni i ristoranti si sono moltiplicati, spesso si tratta di locali non di qualità, pensa che sarà sempre così o che molti di essi saranno destinati a chiudere?
Credo che fino a quando ci sarà qualcuno che vorrà pagare una lasagna congelata 5 euro, o fino a quando non si comprenderà che per avere un buon cibo bisogna utilizzare ingredienti di qualità e che questi ingredienti hanno un costo, questo genere di ristoranti non scomparirà.
Quando non lavora e va al ristorante cosa nota?
Io forse sono un po’ esigente. La prima cosa che noto è l’accoglienza, il primo minuto influenza il mio giudizio su tutta la serata. Ovviamente mi rilasso e cerco di vivere una bella esperienza, ma non posso non notare se il cameriere si avvicina troppe volte al tavolo, o come mi viene servito un piatto, o anche se il locale è curato o meno.
Lei sa cucinare?
Certo, amo cucinare soprattutto per gli altri. Io non andrei mai al ristorante, a me piace l’intimità della casa, conversare, aprire una bottiglia di vino.
A questo punto della sua carriera cosa la rende più orgoglioso?
Di aver raggiunto una preparazione tale che mi permette di insegnare ai miei ragazzi questo mestiere. Il mio obbiettivo è creare un ambiente di lavoro tranquillo, per me il capitale umano è fondamentale, la persona viene prima di tutto, che sia ospite o collega. Un tempo il maître teneva tutte le sue conoscenze per sé, oggi più è bravo a condividere e più sarà un successo.
La sua è stata una carriera di grandi soddisfazioni, ha ancora un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe avere l’opportunità di creare da zero un nuovo ristorante. Occuparmi io della scelta delle tovaglie, dei cristalli, delle porcellane, con un servizio che sia un concentrato delle mie esperienze lavorative.
Dal punto di vista personale invece vorrei incontrare una donna che accetti il mio lavoro e il sacrificio che esso comporta per potermi creare con lei una famiglia e avere dei figli. Ci sono state donne che inizialmente mi hanno seguito, ma a lungo andare non hanno più voluto abbracciare la causa.
Lei vive a Roma da qualche anno, cosa le piace e cosa non le piace dei romani e della città?
Dei romani non mi piace la loro superficialità, mentre mi piace il loro essere generosi e accoglienti e il loro amore per il cibo e per il vino. Roma invece, la vorrei solo un po’ più pulita, mi piace di notte, amo il suo essere piaciona, mi affascina la magia che la rende unica
complimenti continua così
complimenti, l’alta qualità nel tuo modo di essere rispecchia i valori sani della nostra meravigliosa italia.