
Rosso, dolce, croccante, dissetante, questo è il cocomero. Andando indietro nel tempo lo troviamo nelle Piramidi per rendere lieve, ai Faraoni, il loro viaggio verso l’aldilà, ma anche in Cina e in India e infine in Europa, a Cordova e Siviglia, portato dagli Arabi. Insomma un lungo viaggio il suo, che lo ha condotto fino a Roma dove, ancora oggi, è il simbolo dell’estate. Si narra che fosse il frutto preferito dell’imperatore filosofo Marco Aurelio. Fatto un tassello sulla buccia verde e lucida vi versava del miele e, dopo averlo richiuso, lo lasciava riposare per due giorni baciato dal sole e dalla rugiada. Il gesuita e letterato Padre Antonio Bresciani ci racconta la vendita dei cocomeri a piazza Navona. Dal 23 giugno 1652 per decisione di papa Innocenzo X, ogni sabato e ogni domenica del mese di agosto, la piazza veniva allagata per rinfrescare i romani. La parte rivolta verso Sant’Apollinare restava asciutta per la pendenza del terreno, ed era lì che il venditore posava i suoi cocomeri creando grandi piramidi. Intorno disponeva tavolini e sedie e sempre pronto teneva un bicchierino di rum o un fiasco di vino di Orvieto e di Marino, perché il cocomero è difficile da digerire e quando è dolce al punto giusto fa venire sete.

Nel libro “Vecchio Trastevere”, pubblicato nel 1935, Alfredo Proia e Pietro Romano descrivono la Sagra del Cocomero all’Isola Tiberina. I preparativi avevano inizio alla vigilia della festività di San Bartolomeo, santo dal quale l’isola prende il nome, che ricorre il 24 di agosto. Montagne di cocomeri venivano posati sulle rive del Tevere. Sulle spallette dei ponti la luce delle torce a vento illuminava fette di cocomero rosse ed invitanti. Calvi racconta che i ragazzi aspettavano nudi a cavalcioni delle ripette, che qualche cocomero fosse lanciato nel fiume, per tuffarsi a recuperarlo. I più coraggiosi arrivavano a lanciarsi dalle spallette cimentandosi in gare di nuoto per cercare di raggiungere i frutti trasportati dalla corrente.
Tutta la città era popolata da banchetti che vendevano il cocomero a fette. Riccetto su un cartello aveva scritto: <<Venite da Riccetto che ve fa rinfrescà er petto, cocomeri sotto il ghiaccio, una fetta un bajoccaccio>>.
Moretto invece gridava: <<Venite tutti dal Moretto, che ve guarisce il mal de petto, con un soldo che qui spendete, d’ogni mal salvi sarete>>.
Altri venditori gridavano a squarciagola: <<E’ rosso, pija e taja. Taja, taja ch’è rosso. E’ zucchero donne!>>