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La grammatica dei sapori.

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Marmellata di limoni

18 Aprile 2017 by gabriellapravato Leave a Comment

(La mia ricetta su D laRepubblica)

Conosci tu la terra dove fioriscono i limoni
una mite brezza spira dal cielo azzurro,
la conosci tu forse?
Questi sono alcuni versi di Johann Wolfgang Von Goethe.
Il limone, concentrato di sole, fiorisce e dona i suoi frutti dalla polpa profumata e succosa in tante regioni italiane. Diverse sono le sue varietà: il Liscione, il Femminello comune o di Sorrento, il Femminello sfumato o limone di Amalfi, l’Arancino, il Lunario e il Monachello.
Originario dell’India si diffuse, prima molto lentamente, in tutta l’Asia, poi i popoli ebraici lo portarono in Palestina. Da qui, attraverso l’Africa, giunse in Europa. Amato dai Romani, che lo raffigurarono in mosaici e dipinti, nelle case di Pompei ed Ercolano, era detto “melo di Media o di Persia” e poi, in seguito, “citrus”.
Simbolo di fecondità, utilizzato soprattutto a scopo terapeutico, cominciò ad essere adoperato in cucina solo dal XVIII secolo. Ingrediente per torte, creme, sorbetti e soprattutto marmellate.
Secondo la normativa europea, il termine marmellata indica la mescolanza gelificata di zuccheri e agrumi, e la percentuale di frutta deve essere almeno del 20%.
Inutile dire che il sapore della marmellata di limoni è molto particolare, ottima nelle crostate, ma anche per accompagnare, in modo insolito, i formaggi stagionati.

Ingredienti:

  • limoni biologici kg 1
  • zucchero kg 1

Lavate i limoni e spazzolateli sotto l’acqua corrente. Metteteli, con la buccia, in una casseruola, copriteli con dell’acqua e fateli cuocere a fuoco dolce fino a quando pungendoli con una forchetta questa penetrerà facilmente. Eliminate l’acqua di cottura. Aggiungete nuova acqua fredda e lasciate i frutti a bagno per 48 ore rinnovandola spesso. Scolate i limoni e pesateli. Prendete lo stesso peso di zucchero, unitevi dell’acqua in proporzione di ¾ di litro per ogni Kg di zucchero.

Con acqua e zucchero preparate uno sciroppo a 28° controllando il grado di cottura con il pesasciroppi. Tagliate i limoni a spicchi, eliminate i semi, unite lo sciroppo e lasciateli riposare 48 ore. Scolate i limoni raccogliendo lo sciroppo in una casseruola, portate sul fuoco e aggiungete lo zucchero necessario per portarlo a 30°. Affettate finemente gli spicchi di limone.

Uniteli allo sciroppo e fate bollire fino a quando non si sarà formata “la nappe”, vale a dire fino a quando  il composto velerà il cucchiaio staccandosi lentamente in grosse gocce. (La marmellata sarà pronta quando raggiungerà  i 105° C.) Versate subito la marmellata in vasetti di vetro sterilizzati. Chiudeteli ermeticamente e capovolgeteli lasciandoli raffreddare. Trascorso il tempo di riposo conservateli al buio in un luogo fresco e asciutto.

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Gnocchetti acciughe e pecorino del pellegrino

7 Aprile 2017 by gabriellapravato Leave a Comment

(La mia ricetta su D laRepubblica)

Oggi con questa ricetta semplice e antica andiamo a Roma, capitale della cristianità e da sempre meta di pellegrini. Per accoglierli la Città eterna si era dotata, già nei secoli scorsi, di un gran numero di taverne e osterie dove si poteva mangiare, bere e anche dormire. Pare che nel 1526, a Roma, ve ne fossero ben 236,  e che le loro insegne, per facilitare i clienti, spesso analfabeti, fossero immagini dipinte. Pare inoltre che il miglior locale fosse l’Osteria dell’Orso, con il grande animale disegnato sull’insegna. In queste osterie si beveva e si mangiava molto semplicemente, il vino era sempre annacquato, il pane non era buono perché il grano era poco e di cattiva qualità, la carne, anch’essa poca, veniva conservata affumicata o salata. Il pesce arrivava dal Tevere, pescosissimo e limpidissimo, oppure dal porto di Ostia su barche tirate da buoi che percorrevano un tratturo che fiancheggiava la riva sinistra del Tevere e si fermava nei porti di Ripetta e Riva grande. Molto amata era la ventresca di tonno, ma anche le acciughe conservate nel sale grosso e aromatizzate con le foglie di alloro, utilizzate anche in questo piatto con una “grattugiata” di formaggio stagionato, che non mancava mai, perché la cucina del Lazio era anche quella dei pastori. Insomma una ricetta, questa, che si potrebbe definire “dell’era che fu”, ma gustosa anche oggi, da preparare quando si ha fretta.

Ingredienti:

  • farina di grano duro senatore cappelli g 380
  • acciughe sotto sale 8
  • vino bianco secco 1/2 bicchiere
  • olio extravergine d’oliva 4 cucchiai
  • pecorino 2 cucchiai

Preparazione della pasta
Versate la farina sul piano di lavoro, unite lentamente l’acqua tiepida incorporandola. Impastate con un movimento costante e deciso fino a quando la pasta sarà liscia ed elastica. Avvolgetela nella pellicola trasparente facendola riposare per almeno 30 minuti. Completato il riposo prendete un pezzo di pasta e formate un cilindro. Tagliatelo a pezzetti di 3 cm, dategli la caratteristica forma formando le scanalature.

Preparazione della salsa
Lavate e diliscate le acciughe. Sciacquatele sotto l’acqua corrente per eliminare il sale, poi asciugatele.
In una padella versate 4 cucchiai d’olio, unite lo spicchio d’aglio schiacciato, soffriggetelo ed eliminatelo.
Unite le acciughe, stemperatele nell’olio, sfumate con il vino. Cuocete per qualche minuto poi passate al setaccio.
Cuocete i gnocchetti in abbondante acqua salata, estraendoli con la schiumarola. Conditeli con il sugo di acciughe e spolverateli con il pecorino grattugiato. Servite subito.

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Patate fondenti

28 Marzo 2017 by gabriellapravato Leave a Comment

(La mia ricetta su D laRepubblica)

Un’antica leggenda peruviana racconta che la patata nacque, molti secoli fa, dall’amore proibito di due giovani: Haparkilla, vergine consacrata al dio Sole, e Watuy, povero contadino. Quando il Sovrano Inca venne a conoscenza dell’amore che legava teneramente i due giovani, per punizione per aver violato le sacre leggi, ordinò che fossero seppelliti, insieme, vivi.
Quell’anno il Regno fu colpito da una terribile carestia, e solo la terra che ricopriva i due amanti mantenne la sua fertilità. Il Sovrano, allora, seguendo il consiglio dei sommi Sacerdoti, ordinò di riesumare e cremare i corpi dei due ragazzi, poi di spargere le loro ceneri al vento.
Quando gli inservienti cominciarono a scavare, con grande meraviglia non trovarono Haparkilla e Watuy, ma solo una radice rotonda colore della terra, la patata, che divenne il loro cibo, e alla quale diedero il nome di Ccorinaya che significa oro interrato.
Da quel giorno la patata, cibo versatile, che si presta a tante preparazioni dolci e salate, ha sfamato gli uomini. Questa è una ricetta semplice, come semplice è questo frutto della terra.

Ingredienti:

  • patate g 500
  • parmigiano g 40
  • fecola di patate 2 cucchiai
  • latte 3 cucchiai
  • olio extravergine d’oliva 4 cucchiai
  • aglio 1 spicchio
  • sale
  • pepe

Lavate le patate raschiando la buccia con uno spazzolino per eliminare ogni traccia di terriccio. Pelatele e tagliatele a dadi mettendole in acqua fredda fino a quando non le avrete tagliate tutte. Sgocciolatele, asciugatele. Scaldate in una padella l’olio con uno spicchio d’aglio, appena inizierà a diventare dorato eliminatelo. Unite le patate e fatele rosolare a fuoco vivace portandole a cottura. Regolate di sale e di pepe. Trasferitele in un pirex. Unite la fecole a mescolate. Bagnate con il latte e mescolate nuovamente. Rifinite con il Parmigiano. Mettetele a gratinare in forno per 10 minuti a 180°C, servite subito.

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Le palline di semolino di via di Ripetta

22 Marzo 2017 by gabriellapravato Leave a Comment

(La mia ricetta su D laRepubblica)

Nel secolo scorso, a Roma, nel pomeriggio, si passeggiava lungo il Corso. Dalle 16.00 alle 18.00 d’inverno e dalle 17.00 alle 19.00 in primavera. Ma si sa “lo scruscio” fa venire appetito, allora bastava una piccola deviazione per ritrovarsi nella tranquilla via di Ripetta, dove, tra latterie, friggitorie e ferramenta, si respirava ancora l’atmosfera della vecchia Roma. Dopo una “capatina” alla libreria “Al ferro di cavallo” come non fare merenda? Come non concedersi uno sfizio di gola?
Allora, con qualche migliaio delle vecchie lire, si poteva mangiare una pastarella gonfia di crema pasticcera, un pezzo di pizza a taglio con la mozzarella filante o le famose palline fritte di semolino, perché a Roma, si dice, che fritta è buona anche una ciabatta. Morbide, calde, invitanti, ripiene di formaggio, questa è la mia ricetta con la quale cerco di ritrovare, oggi, i sapori di ieri.

Ingredienti:

  • latte g 500
  • burro g 40
  • semolino g 135
  • tuorli 2
  • uovo 1
  • fontina g 100
  • noce moscata
  • farina 00 4 cucchiai
  • pangrattato 8 cucchiai
  • sale
  • olio di arachide l 1

In una casseruola portate a ebollizione il latte, unite il burro, un pizzico di sale e uno di noce moscata. Versatevi a pioggia, sempre mescolando con il cucchiaio di legno, il semolino. Cuocete per 15 minuti. Togliete la casseruola dal fuoco, incorporate i tuorli d’uovo leggermente sbattuti. Lasciate intiepidire.

Aiutandovi con un tagliauova a filo dividete la fontina a dadini. In un piatto rompete l’uovo, salatelo e sbattetelo con la forchetta. Con le mani leggermente bagnate prendete delle piccole quantità di semolino, dategli la forma di una pallina mettendo al centro un dadino di fontina. Formate tutte le palline. Passatele prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto e infine nel pane grattugiato.

Scaldate l’olio di arachide o di oliva, quando avrà raggiunto i 160°C immergete poche palline per volta e friggetele fino a quando avranno preso un bel colore dorato. Scolatele con un mestolo forato e adagiatele sulla carta assorbente in modo che perdano l’unto in eccesso. Servitele calde.

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Les Tuiles

13 Marzo 2017 by gabriellapravato Leave a Comment

(La mia ricetta su D laRepubblica)

Oggi verrete con me e insieme torneremo nel mondo dei biscotti, raggiungeremo la Francia, il grande pentagono bagnato sui tre lati dal mare. Elegante, affascinante, romantica, trasgressiva e vivace insieme, questa è la Francia. La sua cucina, famosa nel mondo, è l’unione tra le elaborate preparazioni di corte e quelle semplici di provincia, con un tocco di sapore dei territori vicini e l’usanza orientale di utilizzare in ogni piatto quanto la natura in quel momento può offrire.
Pare che l’arte dei biscotti sia stata portata in Francia dalla nostra Caterina dei Medici, andata in sposa a Enrico II nel 1553. Da quel momento i grandi pâtissier francesi diedero sfogo alla loro fantasia creando le tante specialità che oggi conosciamo e tanto amiamo, anche se la prima vera fabbrica di biscotti fu aperta a Bordeaux solo nel 1840 da Honoré Jean Olibet.
Ecco le Tuile, un croccante e sottile, quasi un merletto, biscotto dal sapore di mandorla e vaniglia, la cui forma vuole ricordare le tegole dei tetti di Provenza, provincia del sud-est.
Accarezziamo allora tutti i nostri sensi, cullati dalla voce suadente di Edith Piaf che canta “La vie en rose”, e dal tintinnio della porcellana, gustiamo les Tuiles, eleganti e delicati, con una tazza di tè.

Ingredienti:

  • mandorle sgusciate e pelate g 130
  • zucchero semolato g 130
  • albumi g 70
  • farina 00 ww 200-220 g 20
  • burro g 30
  • vaniglia 1 baccello

Scaldate il forno a 180 °C. Mettete le mandorle sulla placca rivestita con la carta da forno e fatele tostare solo per 2 minuti. Lasciatele raffreddare e poi tagliatele a lamelle. Unite lo zucchero e mescolate delicatamente con una spatola. Sciogliete il burro in un pentolino senza superare la temperatura di 40°C. Unitelo al composto di mandorle e zucchero e amalgamate. Coprite e lasciate raffreddare in frigorifero per 12 ore. Terminato il riposo setacciate la farina, unitela al composto, aggiungete lentamente gli albumi fino a ottenere un composto omogeneo. Preriscaldate il forno a 150 °C se statico, a 130 °C se ventilato. Ricoprite una teglia con carta da forno. Raccogliete un cucchiaio raso di composto, versatelo sulla teglia, appiattitelo leggermente con la parte convessa del cucchiaio bagnata di acqua fredda creando tanti piccoli cerchi sottilissimi. Infornate e fate cuocere per circa 15-20 minuti con valvola o portello di carico chiusi.
Una volta cotte sfornate le Tuiles, ancora calde fatele aderire a un matterello per farle assumere la loro forma caratteristica.

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Gabriella

È inevitabile che vi racconti un po’ di me, mi chiamo Gabriella Pravato, vivo a Roma e ho una grande passione, il cibo. Il cibo è molte cose insieme... Leggi di più...

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