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La grammatica dei sapori.

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PIETRO D’AGOSTINO LO CHEF DEL RISTORANTE LA CAPINERA – TAORMINA

18 Maggio 2020 by gabriellapravato 2 Comments

Allegra, frizzante, alla moda, sofisticata e cosmopolita, questa è Taormina. Piccolo scrigno di storia, di miti, di antiche leggende che narrano gesta di eroi. Olivi, mandorli e aranci la fanno bella e profumata e lei da lassù guarda l’azzurro del mare e Iddu, il misterioso gigante che a tratti lancia, iracondo, lapilli fiammanti o calmi sospiri di fumo. A Taormina vive a lavora Pietro D’Agostino. La sua cucina nasce dalle “piccole cose”, elaborazione di materie prime pure che diventano piatti. Nessuna esasperazione, solo l’attimo fuggente di una raffinata e leggera eleganza. Un gioco di luci e colori, gocce di sapore cadute da tanti pennelli. La terra, il mare, il sole sono stimoli di creatività. Pietro D’Agostino non cucina, canta, canta la Sicilia, come la sua piccola Capinera.

La morsa del virus sembra attenuarsi, le terapie intensive cominciano a respirare e allora io vorrei pensare al futuro, a un dopo, e voglio invitarla ad andare avanti nel tempo e a immaginare. Siamo a Taormina, nel suo ristorante La Capinera, che ha appena riaperto le sue porte, in sala ci sono solo ospiti italiani, che arrivano da ogni Regione, per la loro prima vacanza dopo l’epidemia. Non conoscono il suo ristorante, sanno solo che lei è Pietro D’Agostino e che sulla sua giacca è ricamata una Stella Michelin. Si presenti, presenti i suoi collaboratori, racconti loro come sarà la sua cucina e quale esperienza gustativa stanno per vivere.

La Sicilia è la musa ispiratrice della cucina della Capinera.  Con una brigata di 8 elementi invento giornalmente piatti di grande armonia, in cui il filo conduttore restano le stagioni e i frutti della mia amata terra. Sento il legame con un’isola meravigliosa, così piena di contraddizioni, e forse per questo affascinante. Nulla è scontato da queste parti.  Vulcanici e generosi, pronti a lasciarsi andare a grandi slanci senza chiedere nulla in cambio, noi siciliani siamo, tenaci, capaci di scandire il tempo con pazienza, difficilmente cediamo alle lusinghe dell’estetica e ricerchiamo sempre la qualità, forse perché l’abbiamo dovuta conquistare a fatica, con impegno e passione. Tutto questo si rispecchia anche nella mia cucina. La mia cucina è uno still life della Sicilia: solare, fresca ricca di tradizione, ma moderna. Creatività, memoria e territorio sono gli ingredienti principali che valorizzo nei miei piatti, un approccio che trova riscontro nei menu creati nel rispetto delle stagioni. Fondamentali sono i rapporti con i produttori del territorio, con i quali si lavora a progetti in uno scambio virtuoso di suggerimenti e proposte. La cucina è ricca di prodotti fragranti, sapori che stanno in un delizioso equilibrio tra terra e mare, ricca di spezie e profumi particolari. Nei miei piatti ci sono alcuni ingredienti che non possono mancare mai: Il pesce azzurro dello Jonio, per cominciare, che è un toccasana per la salute.

La Capinera, subito viene alla mente l’opera di Giovanni Verga e la sua protagonista, la sfortunata e romantica Maria. Un cuore semplice e ingenuo, che dopo aver scoperto, proprio a causa di un’epidemia, la natura, la vita e l’amore, morirà rinchiusa in convento, come una piccola capinera in gabbia. Perché ha scelto questo nome così evocativo per il suo ristorante?

Ho deciso di chiamare il ristorante La Capinera come l’uccellino dal canto melodioso, tipico dell’area Mediterranea molto vivace, ma anche di indole timida che torna nel suo habitat dopo lunghe migrazioni. Un po’ come me, che ho deciso di tornare nella mia Taormina, dopo quindici anni di assenza, in giro per il Mondo. E proprio come il canto della Capinera, che è emesso dapprima in sordina, con l’avvicinarsi della “stagione degli amori” aumenta d’intensità, sino a raggiungere la sonorità piena, anche io sono arrivato con una valigia piena di tanta esperienza, con la voglia di avviare un mio progetto, ma con mille paure e difficoltà di chi si appresta a mettersi in proprio, fare impresa, che significa non occuparsi solo della cucina. Sono passati più di sedici anni e non mi sono mai pentito di quella scelta. Contento di rappresentare oggi un punto di riferimento per il mio territorio, fregiato anche del titolo di ambasciatore siciliano del gusto.  Sono stato costante, umile, non dimenticando mai che il mio posto fosse dietro ai fornelli. Oggi gli chef godono dell’attenzione del grande pubblico, i fortunatissimi format televisivi hanno portato il piacere del cucinare bene e sano veramente in ogni casa e molti ragazzi immaginano un proprio futuro lavorativo come chef. Siamo diventati esempi da seguire. Ma attenzione, c’è rischio di ingenerare il pensiero che il nostro lavoro sia solo intrattenimento e immagine. Fare lo chef implica oltre alla tanta passione, soprattutto impegno, dedizione, disciplina, tanto più che ora gli standard qualitativi si sono alzati tantissimo. Per questo, penso che non dobbiamo mai dimenticare che il nostro luogo resta sempre la cucina.  Fondamentali sono i rapporti con i produttori del territorio, con i quali si lavora a progetti in uno scambio virtuoso di suggerimenti e proposte.

Incantata, fiorita, splendente nell’azzurro del mare, così appare Taormina a un viaggiatore, ma per lei che l’ha scelta come il luogo dove aprire il suo ristorante, intimamente Taormina cosa è?

Taormina è il mio luogo del cuore, in cui sono nato quarantotto anni fa, ma anche un luogo dell’anima, perché è da quel mare che leviga la costa di Spisone, che celebro la mia Sicilia nei piatti, declinando un paradigma culinario rimasto invariato nel tempo: materie prime di eccellenza, territorio, metodi di cottura salubri.  “Pietanze semplici e sincere” perché esaltano gli ingredienti e incontrano le aspettative del cliente, sempre più attento e consapevole.

Gusto, talento ed eleganza, questo è quello che si trova nei suoi piatti. La Michelin continua a premiarla da dieci anni. Riesce ancora a ricordare le sensazioni provate la “prima volta”? Oggi la sua cucina è diversa da quella di allora? La Stella, inevitabilmente, la influenza?

Rinnovo quelle sensazioni ogni anno. Non do nulla per scontato e vivo questo riconoscimento cucito sulla mia giacca da chef con un grande senso di responsabilità, soprattutto nei confronti dei consumatori. Non si cucina più come una volta, naturalmente: la materia prima ha riconquistato una sua identità e un suo protagonismo nelle pietanze che risultano ora più semplici nella elaborazione, più ricercate nella interpretazione di ingredienti e accostamenti; e sono profondamente mutati anche i metodi di cottura attenti alla conservazione del gusto e delle proprietà del cibo. Sempre di più, si parla di cucina consapevole con i tre capisaldi: sostenibilità, ambiente e salute.

Cucinare è parlare al mondo. Cosa raccontano i piatti de La Capinera?

Con i miei piatti parlo con molta schiettezza ai clienti. Non amo le eccessive elaborazioni, prediligo gli ingredienti riconoscibili all’occhio e al palato. Mi piace sperimentare gli accostamenti, ma resto un appassionato della semplicità.

La cucina è amore. Definirebbe il suo menù degustazione un’avventura amorosa?

Non so se definirla un’avventura amorosa, di certo è un momento cui cedere con curiosità e con tutti i sensi: la vista, l’olfatto, il gusto. Assaporare senza fretta ogni boccone, concedersi il piacere di aprirsi a nuove esperienze. Certamente, come in amore, anche in cucina, è questione di gusti, di empatia, non esistono canoni prestabiliti. In questo senso può diventare perché no, un’avventura amorosa.

Armonia di sapori e di consistenze è quello che tutti cerchiamo in un piatto. Come si ottiene? Come nasce un suo piatto, quali sono le fasi della creazione?

I miei piatti nascono per caso. Magari la sera prima raccolgo un’erba aromatica dal mio orto in casa, e annusandola mi evoca l’odore del mare, di un particolare pesce.  Allora, il giorno mi metto ai fornelli e improvviso. Mi lascio guidare da un po’ di esperienza, dalla fantasia e dal gioco.

La cucina è anche cultura, cosa c’è della Sicilia nei suoi piatti?

La Sicilia è la terra che tante popolazioni hanno vissuto e dominato nel corso dei secoli: siamo il cuore del Mediterraneo e, in questo senso, la sintesi di una tradizione che è stratificazione di tante culture anche in cucina.  Dai greci ai romani, passando per gli arabi, gli spagnoli, i francesi, ognuno di loro ha lasciato qualcosa di sé, che poi si è inevitabilmente innestato con il vecchio e con il nuovo, diventando a sua volta unico e irripetibile.  La mia cucina è uno still life della Sicilia: solare, fresca ricca di tradizione, ma moderna. Creatività, memoria e territorio sono gli ingredienti principali che valorizzo nei miei piatti, un approccio che trova riscontro nei menu creati nel rispetto delle stagioni.

A questo punto della sua lunga carriera qual è il piatto che sente più suo, quello che maggiormente la rappresenta e la rende riconoscibile?

Non c’è una ricetta in particolare, ma tutte hanno un comune denominatore: saper seguire il ritmo delle stagioni e la mappa delle materie prime coltivate, prodotte, realizzate con cura e rispetto.  La Sicilia va scoperta in lungo e in largo alla ricerca di prodotti assolutamente Dop, unici per le caratteristiche e per  l’habitat nel quale sono stati coltivati: da Pachino, dalle suggestive serre delle calde terre più a sud dell’isola, arriva il pomodorino che utilizzo in cucina, così come da Avola arriva la mandorla ‘bianca pizzuta’. Dal ragusano arrivano le mozzarelle di bufala e il caciocavallo, da Giarratana la tipica cipolla rossa e da Chiaramonte Gulfi, l’olio extra vergine di oliva, altro pilastro della dieta mediterranea. A Trapani, si fa scorta di sale di Motia e di aglio di Nubia. E Poi, le isole minori regalano altri straordinari sapori, come i capperoni di Salina o l’occhio di pernice di Pantelleria. Il pesce azzurro, il re del Mediterraneo, per me è irrinunciabile.

L’argentea nebbia degli olivi siciliani. Quanto è importante l’olio nei suoi piatti? Qual è quello che preferisce?

L’olio è un caposaldo della dieta mediterranea. Direi che la scelta di un olio di qualità è obbligata. Quanto  alla tipologia senz’altro cambia a seconda degli  abbinamenti  che il piatto richiede.  La Sicilia offre un ventaglio di olii eccezionali: ci sono monocultivar come la Tonda Iblea, Nocellara del Belice dalla fragranza intensa incredibile. Amo molti gli olii dell’Etna.  Tra tutti ho per esempio selezionato un “quota mille” Nocellara dell’Etna da inserire nei miei prodotti che escono con la mia etichetta “Io Pietro D’Agostino”.

Il piatto come un’opera d’arte. E’ mai accaduto che la pittura e la scultura influenzassero le sue creazioni?

Certo che sì. Ci sono piatti del mio menu, che ricordano per colori e mise en place dipinti ad olio, rievocano Mirò, come per esempio Passeggiata per la Sicilia un racconto di prodotti che attraversano il nostro variegato territorio: Un antipasto a base di polpo alla brace con mandorle pizzute di Avola, capperi di Salina e pomodori datterino di Pachino al forno, accompagnato da un mosto di fichi d’India con primizie dell’orto. Un piatto che costituisce la sintesi perfetta di una cucina di innovazione che nel tempo ha cambiato stile e linguaggio, continuando a rispettare tradizione, stagionalità e territorio.

I colori suscitano sentimenti nascosti, qual è il colore che ama di più e che predomina nei suoi piatti?

Non c’è un colore predominante.

“Creare dei legami”, per non essere uguale a centomila, questo è scritto nella favola Il piccolo Principe. La conoscenza è quella che l’ospite oggi desidera, ma è anche quella che arricchisce lo Chef perché alimenta la sua crescita personale e le sue competenze. Lei mantiene il legame con i suoi ospiti? Lo ha fatto durante la pandemia?

Assolutamente sì. Ricevo ogni giorno messaggi e telefonate dei miei clienti, che non vedono l’ora di venirmi a trovare.

Il cibo è un evocatore di ricordi e allora la invito ad andare indietro nel tempo. E’ sera, lei è un bambino, è a tavola con la sua famiglia. In quale città siamo? Chi è con lei? Chi ha cucinato e cosa state mangiando? La cucina profuma di? Mi racconti…

Un ricordo visivo e olfattivo, ancora oggi è l’odore del pane e la pasta fatti in casa, la raccolta delle primizie dell’orto, la salsa che cuoceva per ore nei pentoloni, il pesce fresco acquistato all’alba. Sin da bambino, mi lasciavo incantare dalle operose mani di mia madre e di mia nonna, che in cucina si dedicavano alla preparazione di cibi sani e genuini, legati alla vecchia tradizione siciliana. Il mio piatto preferito? Stupirò ma io resto un appassionato della pasta. Trovo irrinunciabile un piatto di spaghetti al pomodoro. Semplice, tradizionale, intramontabile direi.

Una sera d’estate, la terrazza de La Capinera, la invito a scegliere un vino siciliano e una persona del mondo del cibo che non c’è più, per attendere l’alba conversando.

Marco De Bartoli, vignaiolo, pioniere della valorizzazione dei vitigni autoctoni e custode delle tradizioni vinicole, l’ho conosciuto tanti anni fa. E’ venuto a trovarmi al ristorante 12 anni fa, due anni prima che morisse. Abbiamo chiacchierato davvero fino all’alba di tanti argomenti di come la ristorazione sia cresciuta nella nostra regione, dello straordinario e affascinante mondo del vino a cui lui apparteneva, fautore dei vini naturali e del futuro dell’export. Oggi davanti a due calici e due bottiglie di vino che lui amava tanto, Terza via Rosè e Grappoli del Grillo, vorrei dirgli solo Grazie di cuore.

Mi permetta una domanda personale, chi vive accanto a lei? Perché è importante nella sua vita e nel suo lavoro?

Vivo da oltre dieci anni con la mia compagna Morena. Oggi siamo diventati anche una squadra non solo nella vita privata.  E’ lei che gestisce il nostro secondo locale Kistè, aperto a marzo 2017, un contenitore gastronomico nel cuore di Taormina, incastonato in uno storico palazzo del tardo Quattrocento. L’abbiamo pensata come una formula easy gourmet, una cucina essenziale che mette in evidenza la straordinaria bontà di ingredienti esclusivamente prodotti in Sicilia. Morena è una grande creativa, ma anche quella razionale fra i due, che riesce a contenere a volte i miei voli pindarici.  Adoro i suoi modi accoglienti e rassicuranti. Ha deciso di affiancare nel lavoro, dopo una lunga esperienza ultra ventennale nel settore turistico alberghiero.

Per chiudere, qual è oggi il suo orizzonte?

Per i futuri progetti continueremo ad incardinarli attorno all’asse della sostenibilità. Fare scelte etiche in cucina significa non solo porre attenzione alla provenienza dell’ingrediente, alla stagionalità, ma anche al modo in cui ogni prodotto viene successivamente trasformato. Territorio, materie prime, non spreco e centralità dell’uomo, è dunque un paradigma attorno al quale alcuni degli interpreti più illuminati dell’alta ristorazione si stanno già muovendo. Cucinare consapevolmente significa rispettare le materie prime, valorizzandole in ogni fase, dalla produzione alla conservazione fino alla loro trasformazione finale, attraverso un metodo di cottura ideale che ne conservi gusto e proprietà. Significa minimizzare gli sprechi, sviluppando inventiva e creatività. La cottura è intesa come celebrazione di un ingrediente. Sono passati quindici anni dall’apertura della mia Capinera, e continuo a immaginare di valicare nuove frontiere.   Sono tante le mete ancora inesplorate, si nutrono di emozioni, si incasellano ai passi già compiuti e a quelli che verranno, prendono forma piano piano. Non hai mai la certezza di quale sarà la prossima tappa, ma solo la consapevolezza che non esiste un punto di arrivo, in un meraviglioso divenire.

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LUIGI CREMONA IL CIBO: ECONOMIA, MODA E COSTUME

11 Maggio 2020 by gabriellapravato Leave a Comment

Correva l’anno 1890 quando Pellegrino Artusi, muovendosi a cavallo, si fermava in semplici locande e mangiava “quel che passava il convento” in spartane osterie, gestite da semplici e burberi osti.
Oggi tutto è cambiato, abbiamo ancora le semplici osterie, tramutate spesso in trattorie, dove la cucina può essere anche di grande qualità.
Accanto alle trattorie vi sono i ristoranti gourmet, dove impera l’eleganza, la ricerca, la modernità nelle preparazioni e l’estro creativo e dove i cuochi, o meglio gli chef, sono i divi del momento.

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ANTHONY GENOVESE: IL PAGLIACCIO IERI E DOMANI

21 Aprile 2020 by gabriellapravato Leave a Comment

Anthony Genovese, chef giramondo affascinato dall’Oriente. Schivo, riservato con una erre moscia e un romantico accento francese che ammalia e incanta. Un’eleganza e un garbo rari tra chi maneggia pentole e padelle. Una cucina raffinata e di ricerca. Viaggi, più che percorsi gustativi sono i suoi menù. Un’organizzazione ferrea sia in sala che in cucina, forse anche grazie alla sapiente mano di un fido, il manager di sala Matteo Zappile. Il Covid 19 ferma i fotografi, ma non gli illustratori, ed io, di una di questi mi sono servita. Così lei l’ha visto, e così, anche se con un po’ di ritrosia, lui si è raccontato.

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LA CUCINA CHE VERRA’ SECONDO CARMINE RENZULLI

28 Marzo 2020 by gabriellapravato Leave a Comment

Carmine Renzulli, food & beverage manager, a lui ho chiesto come cambierà il mondo della ristorazione dopo questo periodo di pausa. Queste le sue previsioni.

Secondo i virologi, fino a quando non avremo un vaccino, le nostre vite non saranno più le stesse, le misure di distanziamento sociale continueranno e allora ti invito a fare la previsione di come cambierà la ristorazione stellata e non.

E’ presto per dire in cosa ci cambierà, sicuramente ci imporrà delle nuove regole e soprattutto all’inizio ci distanzierà anche dal punto di vista della convivialità. Ma credo che sapremo adattarci con facilità perché tanta sarà la gioia di poter tornare al ristorante, in pizzeria e anche solo al bar sotto casa. Il mio pensiero va oggi a chi ha perso una persona cara e deve rimanere chiuso in casa ad affrontare un dolore che non si aspettava di vivere. Il mio ringraziamento va a tutti quei medici e infermieri che con la loro passione e il loro lavoro stanno salvando vite umane. Spesso dico ai miei ragazzi, noi non facciamo operazioni a cuore aperto, ma vendiamo un’emozione, un momento, un’esperienza e sarà la bellezza del nostro lavoro che ci aiuterà domani ad essere donne e uomini migliori.

Soprattutto nella ristorazione stellata i clienti erano quasi esclusivamente stranieri e non più giovanissimi. Questo virus sta colpendo soprattutto gli anziani, quindi il cliente dopo il Covid-19 sarà giovane, italiano e non con grandi disponibilità economiche, come si farà ad attrarlo e quale sarà l’offerta gastronomica che gli Chef dovranno proporre?

La ristorazione stellata, che già faticava a farsi conoscere dal pubblico italiano, sarà costretta a fare i conti con questo cambiamento. Quando potremo riaprire le porte dei ristoranti, non dovremo piangerci addosso, non dovremo far percepire al cliente il momento di difficoltà e di negatività. Quindi bisognerà, fin da ora, pensare e programmare il futuro, per non rimanere ulteriormente spiazzati. I giovani comunque, curiosi per natura, già conoscono il mondo della ristorazione stellata, soprattutto grazie ai social. Non dovremo però inseguire le mode che inevitabilmente passano e passeranno velocemente. Dovremo lavorare per servire piatti veloci e meno strutturati. Dovremo mantenere la qualità, ma alleggerire il servizio, eliminare le formalità. Dovremo mettere al centro il cliente, cercando di fargli vivere un’esperienza, un momento di convivialità, un’emozione. Dovremo essere bravi a vendergli una storia, a creare un motivo in più per venire da noi, emozionarlo dal momento della prenotazione, a quando uscirà di casa per venire da noi, fino a quando lo saluteremo e lo ringrazieremo per averci scelto. Sala e cucina dovranno riscrivere alcune regole, si dovranno fondere, dovranno mettere al centro il cliente italiano, il cliente giovane, ma anche la clientela più esigente.  Attraverso il nostro entusiasmo, il nostro essere italiani, accoglienti, accomodanti, attraverso il nostro buon vivere, attraverso il nostro sorriso riusciremo a riempire i nostri ristoranti. Non basteranno più le materie prime, le tecniche di cottura, le sequenze di servizio, ci salverà il raccontare una storia, un momento di vita, ma soprattutto dovremo portare la cucina stellata a casa delle persone.

Alcuni dei guariti dal Covid-19 lamentano la perdita, che speriamo momentanea, di gusto e olfatto. Qualora la perdita dovesse essere permanente, cosa potranno fare gli Chef per far provare loro, ugualmente, le sensazioni piacevoli che il cibo può regalare?

Augurandoci che la perdita di gusto e olfatto non sia permanente, credo che gli Chef, che già oggi quando creano un piatto, riescono farci vivere un’esperienza sensoriale completa con un’esplosione di sensazioni, insegnandoci ad esplorare i nostri sensi, saranno capaci di farci provare delle emozioni al palato e allo spirito.

Ora parliamo di te, come stai e dove stai trascorrendo questo periodo di allontanamento sociale?

Bene grazie, sono a casa a Roma, la città dove ho scelto di vivere. Cerco di rimanere attivo e positivo leggendo e studiando, con lo spirito alto e combattivo, perché solo rimanendo combattivi e seguendo le regole, che il Governo ci ha suggerito, ne potremo uscire più velocemente. In questo momento storico quando all’improvviso ci siamo trovati reclusi in casa, senza sapere quando tutto questo finirà, possiamo utilizzare il nostro tempo per riflettere e per prendere coscienza di come tutto può cambiare rendendoci fragili e spaesati, perché tutte le certezze che avevamo sono cadute in un battibaleno. In questo momento così terribile ci sono persone che vivono per la strada, che non hanno gli affetti che possano rincuorarli, e allora noi che ne abbiamo una rimaniamo a casa e rispettiamo le regole.  

Tu che eri sempre in mezzo in tanta gente come stai vivendo questo momento di inevitabile solitudine?

La solitudine ci permette di ascoltarci interiormente e di riflettere. Abbiamo scoperto di essere vulnerabili, conducevamo una vita frenetica e super impegnata e mentre andavamo a 1000 all’ora, un virus venuto da lontano, ci ha fatto tirare il freno a mano e ha sconvolto tutte le nostre certezze. In questo momento di solitudine mi manca il mio lavoro, mi mancano i clienti da servire e da accogliere, le loro richieste, la pressione e il rush del servizio. Mi manca anche l’interazione quotidiana con i miei ragazzi, le risate, le chiacchierate con tutti coloro che riempivano le mie giornate. Amo il mio lavoro e l’ho sempre vissuto con grande gioia. Non ti nascondo che a volte mi mancano il ronzio e le voci che solitamente aleggiano nella sala ristorante. Credo che torneremo ad apprezzare quello che fino a qualche giorno fa vedevamo come un sacrificio lavorativo, anche se per me non lo è mai stato, per me ogni giorno la sala diviene un palcoscenico, i collaboratori e i cuochi sono gli attori e la rappresentazione è sempre nuova e diversa.

C’è un allarme per la tua terra la Campania, vorrei un pensiero da te.

Io sono orgoglioso della mia terra, di essere Irpino, un popolo che non molla mai e che ha già vissuto la grande tragedia del terremoto del 1980. La Campania è la mia regione, sono vicino ai miei corregionali, e sono certo che noi tutti, con lo sforzo di rimanere a casa e con l’educazione e la grazia che ci contraddistingue, ne usciremo tutti insieme più forti di prima. Però coloro che ci hanno governato sia in Campania che a livello nazionale, con i tagli alla sanità e la cattiva politica, porteranno molte delle morti di questi giorni sulla coscienza. La bellezza salverà il mondo, noi Campani siamo ricchi di bellezza e di cultura, quindi sapremo fare la nostra parte, con civiltà e orgoglio dimostreremo che non siamo secondi a nessuno.

In queste notti divenute improvvisamente lunghe, soprattutto per te, che per lavoro le vivevi intensamente, chi viene a visitarti in sogno?

Sogno tanto. Prima di addormentarmi rifletto sempre su quella che è stata la mia giornata. Un piccolo esame di coscienza, che consiglio sempre anche ai miei ragazzi, per poter affrontare il giorno seguente nel modo migliore. Sogno spesso mia mamma che ho perso da poco, mi piacerebbe averla accanto in questo momento, mi mancano i suoi consigli che mi hanno tanto aiutato nella vita. Credo che i sogni siano la proiezione di ciò che pensiamo un attimo prima di addormentarci, quindi in questo momento penso solo a cose belle, come riabbracciare le persone care o a un bel bicchiere di vino da bere con gli amici.

Siamo tutti ad una svolta, cosa c’è dietro l’angolo?

Il momento è difficile e complicato per tutti. Il Governo non deve dimenticare nessuno, deve dare aiuto alle famiglie, alle imprese e soprattutto deve farlo per alcuni anni, perché noi abbiamo bisogno ora più che mai di credere nelle Istituzioni e di seguire leader coerenti che siano in grado di guidarci per uscire da questo stato di incertezza e di paura. Dietro l’angolo vedo un’Italia in ginocchio, ma credo che nascere italiani sia un privilegio, quindi ora rimaniamo in casa per poi uscire e ridare splendore e luce al Paese più bello del mondo. Viva l’Italia, uniti ne usciremo.

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LETTERA ALLO CHEF ALESSANDRO CAPUTO DEL RISTORANTE THE FLAIR HOTEL BERNINI BRISTOL ROMA

31 Agosto 2019 by gabriellapravato 1 Comment

Ciao Alessandro,

amo molto le sere di fine estate. E’ il momento in cui “cerco sapori”. Le brigate sono allegre e riposate, spesso le cucine hanno al timone solo i sous-chef. Nulla è costruito, quella è la vera atmosfera del ristorante. E’ bello mescolarsi ai turisti stranieri, scegliere à la carte, poi andare via portando il ricordo di profumi, suoni e luci e soprattutto del progetto che ogni ristorante ha.

A The Flair sono arrivata di giovedì, quello che reputo il giorno “giusto”. Sono arrivata prevenuta e un po’ me ne dolgo, ma io non sono una critica gastronomica e posso permettermi, a volte, questo peccato. Credevo di trovare nel tuo menù “tanto Andrea Fusco”, come accade spesso, con quelli che sono stati i suoi ragazzi. Invece ho trovato solo te, i colori e i sapori della tua terra, ma anche molto altro.

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Gabriella

È inevitabile che vi racconti un po’ di me, mi chiamo Gabriella Pravato, vivo a Roma e ho una grande passione, il cibo. Il cibo è molte cose insieme... Leggi di più...

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